«Stiamo per mandare all’estero un fascista. Questa nomina è l’inizio di uno strisciante colpo di stato autoritario che mira a predisporre silenziosamente presidi di alti funzionari fascisti nei gangli vitali dello Stato». L’ex ambasciatore Calogero Di Gesù non nasconde la sua preoccupazione sulla recentissima indicazione di Andrea Mario Vattani come ambasciatore italiano a Singapore.
«Si comincia con gli ambasciatori, la cui nomina abitualmente non suscita reazioni nell’opinione pubblica perché essi e la loro opera hanno poca visibilità nelle vicende interne pur svolgendo l’importantissimo compito di tenere i rapporti con i capi di Stato e di governo degli altri Paesi – avverte Di Gesù –, e si proseguirà poi gradualmente con i prefetti e con i generali delle varie forze armate per il controllo del territorio e dell’ordine pubblico. Questo disegno di sovvertimento istituzionale conta sulla cedevolezza delle istituzioni statuali e delle forze politiche nazionali e ricorda da vicino l’atteggiamento arrendevole della monarchia e della classe politica dirigente liberal-conservatrice nei confronti del movimento fascista negli anni Venti del Novecento».
Ecco perché per Di Gesù è urgente e necessaria «una straordinaria mobilitazione popolare da parte delle forze politiche e sociali democratiche per bloccare sul nascere questo gravissimo progetto eversivo, a cominciare appunto dalla revoca della nomina del camerata Vattani ad ambasciatore».
E si unisce all’appello dell’Anpi per chiedere l’immediata rimozione della feluca nera da questo e da ogni altro eventuale incarico diplomatico.
Che manchi una risposta ferma delle istituzioni di fronte all’aggressività neofascista d’altronde lo dice anche il disco verde del Viminale alla manifestazione promossa da CasaPound a Roma il 29 maggio scorso. 500 camerati dietro lo striscione “l’Italia torni potenza”. La decisione del ministero dell’Interno è stata stigmatizzata dall’Anpi e da Sinistra italiana, partito che, con Nicola Fratoianni, si è detto non stupito del «comportamento del Viminale, anche perché è il medesimo governo che ha deciso di inviare come ambasciatore italiano a Singapore quel diplomatico Vattani, famoso una decina di anni fa per i concerti fasciorock, per le parole contro la Repubblica Italiana nata dalla Resistenza al nazifascismo».
È dal 1965, anno in cui, «senza padroni e padrini», è entrato alla Farnesina come impiegato amministrativo, fino al 2008 in cui ha chiuso la su carriera come ambasciatore italiano in Bahrein, che Di Gesù si batte per una compiuta democratizzazione del corpo diplomatico, una “casta” che per anni è stata letteralmente plasmata dalle mani potentissime di Umberto Vattani, vero dominus delle nomine al ministero degli Esteri. Due volte segretario generale della Farnesina, caso più unico che raro, presidente dell’Ice, consigliere diplomatico di diversi presidenti del Consiglio targati Dc e soprattutto di Andreotti, Vattani padre è stato un vero e proprio collezionista di incarichi, appena scalfito dalle numerose inchieste che lo hanno riguardato nel corso degli anni (ma colpito nel 2012 da una condanna ad un anno e quattro mesi di reclusione da parte della Cassazione per il reato di falso) e ha continuato a dettar legge anche dopo il pensionamento. Certo è che ha messo sui giusti binari la carriera di due figli e una nipote e soprattutto del suo rampollo primogenito Mario, tra i camerati dell’estrema destra noto con il nome d’arte di Katanga. E proprio con la sua band, i “Sottofasciasemplice”, esattamente 10 anni fa, nel 2011, Vattani figlio partecipava ad una iniziativa di CasaPound, dove tra braccia tese, croci celtiche e tatuaggi fascisti cantava le lodi dei repubblichini di Salò e insultava la Repubblica nata dalla Resistenza, per lui «fondata sui valori degli epuratori».
Un altro al suo posto, con quel pesante e rivendicato passato neofascista (e mica solo di canzoni parliamo: nel 1989 è coinvolto, insieme ad un gruppo di naziskin, nel massacro di due ragazzi fuori dal cinema Capranica di Roma. Ne è uscito sì prosciolto, ma risarcendo le due vittime con 180 milioni di lire per evitare il processo civile) avrebbe avuto problemi non a fare carriera ma perfino a mantenersi il posto. Ma non Mario Vattani. Nel 2011, due mesi dopo l’esibizione musical-fascista, l’allora ministro degli Esteri Franco Frattini, senza il minimo tentennamento lo manda ad Osaka come console generale.
Con la caduta del governo Berlusconi nel novembre 2011 e l’arrivo di Mario Monti a Palazzo Chigi, alla Farnesina approda Giulio Terzi. Che di fronte allo scandalo suscitato dalle performance fasciste di Vattani decide di richiamarlo da Osaka e di comminargli la sanzione della sospensione dal servizio e dallo stipendio per quattro mesi.
Tra ricorsi al Tar di Vattani (per essere stato richiamato in patria dal Giappone e per avere avuto la sanzione disciplinare) e controricorsi del ministero la vicenda si trascina per oltre cinque anni, senza che nessuno dal palazzone romano tra il Tevere e Monte Mario mostri una reale volontà di vincere le due cause. Arriviamo così a marzo 2019, quando il Tar del Lazio dichiara il ricorso presentato da Vattani contro la sanzione disciplinare estinto per perenzione, ovvero per mancanza di interesse delle parti. Anche l’altra istanza, quella contro il richiamo a Roma – su cui inizialmente la Farnesina si era appellata – alla fine è finita su un binario morto, perché quel dicastero ha ritirato il suo ricorso lasciando che nel 2018 il Consiglio di Stato lo dichiarasse improcedibile.
Vattani oggi per sgomberare il terreno dagli ostacoli sulla strada verso Singapore va dicendo di aver vinto le sue battaglie legali. Le cose stanno diversamente. La sanzione disciplinare è rimasta, nero su bianco, sul suo fascicolo personale. È a tutti gli effetti un funzionario di cui è stata accertata in sede giurisdizionale la slealtà e l’infedeltà ai suoi doveri definiti dall’articolo 54 della Carta che recita testualmente: «Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge».
Va detto che il ministero ha fatto di tutto per facilitarlo, non opponendo una ferma difesa del proprio operato e dimostrando un sostanziale disinteresse a ottenere ragione.
Quattro mesi di sospensione dello stipendio sono poca cosa. Anche perché passata quella manciata di mesi Mario Vattani nel 2014 ha ottenuto un posto di tutto riposo e di tutto rispetto, coordinatore per i rapporti tra l’Unione Europea e i Paesi dell’Asia e del Pacifico sia sul piano bilaterale che multilaterale: «Non si capisce bene – continua Di Gesù – quale sia l’utilità di tale roboante e immaginifico incarico assegnato a Mario Vattani con trattamento economico di Direttore centrale, che comporta una retribuzione complessiva di circa 130mila euro lordi all’anno, nella galattica Direzione generale per la mondializzazione e le questioni globali – dice l’ex ambasciatore –. Appare piuttosto un titolo a effetto che non comporta, fino a prova contraria, funzioni e responsabilità reali né impegni rilevanti ma che costituisce soltanto un modo per assicurare una posizione e un trattamento economico di prestigio a un figlio, seppur sregolato, di cotanto papà, ancora influente nell’ambiente malgrado la sua età avanzata e il suo stato formale di pensionato».
Merita di essere ricordata la risposta che sulla questione diede nel febbraio 2015 l’allora viceministro degli Esteri Lapo Pistelli: «Il ruolo di Coordinatore per i rapporti tra l’Unione europea e i Paesi dell’Asia Pacifico è pienamente in linea con il percorso professionale e le esperienze formative maturate da Mario Vattani. Lo stipendio che percepisce – proseguiva Pistelli – è identico a quello dei suoi pari grado alle dirette dipendenze di un direttore generale del ministero. In definitiva, l’assegnazione del nuovo incarico al funzionario è un atto dovuto e risponde ad esigenze operative dell’Amministrazione, che lo aveva a suo tempo sanzionato, nelle modalità previste dalle norme, per i fatti evocati nell’interrogazione e che, una volta scontata la sanzione, se ne sta ora avvalendo nella maniera più funzionale».
Dunque, uno “scordammoce ‘o passato” che non fa onore alle istituzioni della Repubblica. Pistelli pare ignorare perfino l’esistenza della legge Mancino.
Se confrontata con l’oggi – l’indicazione del suo nome per l’ambasciata di Singapore – l’incarico del 2014 come coordinatore per i rapporti tra l’Ue e i Paesi dell’Asia – sembra un peccatuccio veniale. Siamo di fronte a un salto di qualità che non può non destare interrogativi.
La domanda è come è possibile che l’attuale responsabile della Farnesina, Luigi Di Maio si sia prestato a questa operazione. La nomina gli è passata sopra la testa, non ne ha colto la pericolosità o, al contrario, l’ha recepita e avallata? Interrogativi che meriterebbero una risposta dall’ex leader del Movimento Cinque Stelle. Quello che è sicuro è che c’è stata una deliberazione del Consiglio di ministri, su proposta di Di Maio, che nell’ambito di un vasto giro di nomine che riguarda sedi importanti ha infilato anche il nome di Vattani. Un altro grillino che conta, il viceministro agli Esteri Manlio Di Stefano, che solo pochi anni fa in una interrogazione parlamentare parlava di “incompatibilità tra la rappresentanza dell’Italia e la sua adesione (di Vattani ndr) a una politica di estrema destra”, oggi fa spallucce: “Passando del tempo è stato riabilitato, mi sembra una cosa abbastanza normale”, dice al fattoquotidiano.it. E aggiunge che «in ogni caso è una decisione del cda della Farnesina, dove io non metto piede, non è una decisione politica”.
Dunque Di Maio non conta nulla? Se così fosse sarebbe comunque gravissimo. Di Maio è oggettivamente in difficoltà. Dopo aver gestito e accentrato tanto potere ora considera la Farnesina la sua ultima roccaforte. Da mantenere costi quel che costi. Il capo delle feluche d’altronde ha dimostrato in questi anni che la spregiudicatezza non gli manca. Essendo in caduta libera è possibile che abbia deciso di correre ai ripari nel modo peggiore, alleandosi cioè con quella struttura del ministero – la più retriva – che è ancora manovrata e influenzata dalla famiglia Vattani. Se così fosse si tratterebbe di un patto opaco. Perché la Farnesina a guida Di Maio concede quello che nessuno dei ministri degli Esteri che si sono succeduti dal 2012 in poi ha mai fatto: riesumare Mario Vattani. Gli altri lo hanno tenuto in un dorato angoletto a 130 mila euro l’anno, ma Di Maio è andato ben oltre. Avrebbe potuto individuare tanti valenti diplomatici per la sede di Singapore, persone non macchiati da un passato fascista, invece…
Sul caso Vattani ambasciatore a Singapore, racconta Thomas Mackinson su il Fatto Quotidiano il Quirinale si è trincerato dietro un “no comment”, come se i giochi fossero già fatti. L’imbarazzo è palpabile ma non è vero che non si possa bloccare tutto. Primo, la richiesta di gradimento del Paese asiatico ancora non c’è e forse non è ancora stata chiesta. E se non c’è gradimento non può esserci decreto di nomina. C’è poi da sottolineare che il titolare delle credenziali dei nostri rappresentanti all’estero è il capo dello Stato. Il presidente del Consiglio firma in ossequio al principio costituzionale dell’irresponsabilità del presidente della Repubblica, ma il ruolo di Mattarella non è affatto notarile. «Il Presidente Mattarella sa che, nella malaugurata ipotesi che Mario Vattani fosse effettivamente nominato all’estero – si chiede Di Gesù–, egli dovrebbe firmare delle credenziali rivolte al capo dello Stato di Singapore per presentargli il primo rappresentante diplomatico della storia della Repubblica italiana dichiaratamente fascista il quale, per giunta, si fregia di orribili tatuaggi permanenti alle braccia e al petto, peraltro, come sembra, coerenti con la sua ideologia?».
In fatto di ambasciatori il Capo dello Stato è chiamato per prassi pluridecennale ad esprimere il suo assenso preventivo e, in casi limite, può esercitare la sua moral suasion per la scelta dei candidati più idonei a garantire la buona immagine del Paese.
Quanto al presidente del Consiglio, Draghi ha dimostrato in alcune occasioni, in questi primi mesi di governo, (vedi il 25 aprile scorso quando disse che «non tutti gli italiani furono brava gente») una particolare sensibilità antifascista, in sintonia con il suo convinto europeismo ed atlantismo in cui gli estremismi autoritari non hanno posto. «C’è da ritenere – sottolinea Di Gesù – che non abbia alcun interesse a connotare il suo gabinetto come il primo dei 66 governi che lo hanno preceduto dal 1946 ad oggi ad accreditare un ambasciatore fascista presso uno Stato estero, un primato cui certamente non aspira e che riuscirà certamente, con il suo noto pragmatismo, a evitare, disinnescando così anche un motivo di conflitto con la maggioranza democratica del Paese».
Intanto su change.org una petizione che chiede la revoca della nomina di Vattani ha raggiunto in pochi giorni già oltre 130mila firme. Insomma, siamo ancora in tempo per evitare lo scempio di un Mario Vattani che rappresenta l’Italia a Singapore.
Pubblicato venerdì 4 Giugno 2021
Stampato il 14/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/interviste/neroconsole-il-ritorno/