Mentre una consigliera comunale pavese di Fratelli d’Italia sorride dalla rete, informandoci di aver diffuso nelle scuole – non sappiamo in base a quale autorizzazione – il fumetto “foiba rossa”, già l’anno scorso oggetto di una sciagurata mostra patrocinata dall’Amministrazione comunale, che fa propria la narrazione tossica su Norma Cossetto, ci vengono alla mente alcune riflessioni.

A chi scrive non è nota l’esistenza di una fiction che abbia quale scenario il campo di internamento nell’isola di Arbe (Rab) “dove tra il 1942 e il 1943 morirono, ad opera delle truppe occupanti italiane, forse un quinto degli oltre 10.000 prigionieri civili deportati dalla Slovenia dall’Istria e dalla Dalmazia” (cit. G. Rochat le guerre italiane) o di una fiction che abbia quali protagonisti i contadini del villaggio di Drenovo sterminati il 14 dicembre 1941 da militi del regio esercito nell’ottica della repressione preventiva teorizzata dagli alti comandi.

Nemmeno ci è nota nemmeno l’esistenza di un fumetto che, a vividi colori, tracci i passaggi salienti della circolare 3C, emanata nel marzo 1942 dal comando superiore delle forze armate italiane, forti del “principio dello spopolamento e della deportazione dei civili, e della strategia della snazionalizzazione” (cit. D. Conti l’occupazione italiana dei Balcani). Nemmeno sappiamo se esista un fumetto che restituisca l’immagine del cielo colore del sangue sopra Trieste, mentre le fiamme dell’incendio squadrista del 13 luglio 1920 devastano il Narodni dom, sede delle associazioni slavofile.

Se, pure, una di queste opere esistesse, ci asterremmo attentamente dal farne il fulcro attorno cui condurre la riflessione sugli eventi definiti, con un punto di vista molto parziale, “confini orientali”.

Perché la storia è altra cosa: essa conosce spigoli aguzzi, rigetta il tempo fasullo che contrae ed appiattisce gli eventi; batte al ritmo di un prima e di un dopo, e richiede tempo e fatica per essere appresa.

Cosa diversa dalla fiction o dal fumetto è anche la memoria della storia, entro la quale, a partire dai nomi dei generali italiani nei Balcani iscritti nelle liste dei criminali di guerra dalle Nazioni Unite e restati impuniti, andrebbero ricondotti ampi spezzoni di eventi sommersi da potenti strati di opacità in nome di una sorta di auto assoluzione della nazione, sempre facile a privilegiare quell’imbarazzante “paradigma vittimario” che chiude ogni conto ancora in sospeso con un vano fiotto di pianto.

Per tornare al caso pavese, di cui attendiamo eventuali sviluppi, anche in ordine alla richiesta di chiarimenti da parte di Anpi al prefetto e al dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale (Usp), almeno chiederemmo che l’approccio alla storia non fosse svolto da un esponente del partito che, per il tramite del suo leader, Giorgia Meloni, nel centenario dell’entrata in guerra ha promosso l’evento “il Piave mormorò, non passa lo straniero”, quando è noto che le truppe italiane non passarono il Piave, ma si schierarono lungo l’Isonzo, fiume di confine con gli Imperi centrali e che, se c’era uno straniero invasore, che attentava il passaggio, quello era l’esercito italiano, in guerra contro l’ex alleato asburgico.