Paraisópolis, favela di San Paolo del Brasile

Provo a raccontare la situazione del Brasile e di San Paolo nel cono d’ombra della pandemia. Innanzitutto quali sono gli attori principali, almeno due: il virus, naturalmente, e la disuguaglianza sociale. Come mi ha fatto notare una amica, “siamo tutti nelle stessa barca” è un apocrifo.  Aggiungo che forse siamo nello stesso mare. Ma non tutti nel mare sono uguali, né come habitat né come posizione sociale. Una grande massa, soprattutto della popolazione urbana, vive di lavori anche continuativi, ma informali: quello che viene guadagnato ogni giorno serve per andare avanti per un breve tempo; se un giorno non si guadagna, non si riesce ad andare avanti. Era stato previsto un piccolo aiuto di emergenza per strati in grave difficoltà da consegnare attraverso conto bancario. Con stupore il presidente della Caixa Economica ha scoperto che il 40% (quaranta) dei destinatari non aveva conto bancario.

Da https://www.cesvi.org/wp-content/uploads/2017/01/brasile_favelas.jpg

Abisso fra Paese reale e classe dirigente oggi al potere… Gli ammortizzatori sociali sono stati annullati negli ultimi quattro anni di governi illegittimi e/o antisociali e quindi è facile, facilissimo licenziare e abbandonare i cittadini al proprio destino.

Tuttavia alla base molte realtà si difendono e si organizzano autonomamente e con settori sociali legati al territorio.

Un esempio  per tutte:  il quartiere di Paraisópolis nella zona sud di San Paolo con 80/100.000 abitanti, nato anni fa come favela e ancora oggi con una urbanizzazione incompleta, con la sua União dos moradores e do comercio de Paraisópolis presieduta da Gilson Rodrigues ha contrattato un piccolo gruppo di medici, infermieri, ambulanze che si sono trasferiti in loco, ha attivato un gruppo di quasi 500 abitanti che vigilano ognuno un settore, ha attrezzato 500 letti per accogliere chi deve isolarsi e non ne ha condizione. Sarà molto interessante vedere come il contagio è stato qui controllato.

Ma molte e varie sono le forme di intervento territoriale, dai negozi e supermercati alimentari che distribuiscono pacchi di generi di prima necessità (anche per evitare i saccheggi) ai piccoli e grandi coordinamenti che accompagnano in vario modo le molte e popolose occupazioni.

Quello che dovrebbe essere l’attore principale, cioè il governo federale, è, nel suo vertice, negazionista.

Il ministro della salute Luiz Henrique Mandetta, che seguiva le disposizioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità/OMS e introduceva elementi di razionalità nel gestire la pandemia, è stato licenziato e sostituito il 16 aprile da Nelson Teich che ha inaugurato la sua gestione con una serie di dichiarazioni necrofile ed economiciste.

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I dati statistici divulgati dal ministero della salute arrivano con giorni di ritardo, la causa di morte è indicata senza verifica specifica sul virus Covid-19; spesso si indica genericamente “polmonia”. Al momento si parla di 43.592 contagiati e 2.769 morti. Secondo la rispettata Fiocruz/Fondazione Oswaldo Cruz, i contagi potrebbero essere da sette a nove volte superiori. E non si è ancora arrivati al vertice ascendente della curva.

Vedendo le immagini delle distese di fosse predisposte nei cimiteri qualche cosa non quadra. Il più grande cimitero di San Paolo, Vila Formosa, un bellissimo parco pieno di alberi fioriti, informa che è passato da 20 a 60 tumulazioni al giorno.

Dall’Amazzonia giungono notizie di tragedia (annunciata) che trascina con sé le comunità indigene. La gravità della mancanza di dati credibili non è solo un oltraggio per i cittadini e le cittadine della Federazione, ma è un crimine internazionale. Mentre ricercatori e studiosi si impegnano al massimo di livello e di intensità per capire come questo virus si diffonde e si trasmette – e quindi i dati e la loro localizzazione sono fondamentali – un grande Paese come il Brasile si permette il lusso di essere approssimativo. E forse non in modo innocente.

Ernesto Araujo, il ministro degli Esteri del Brasile (da https://www.tvsvizzera.it/image/45223898/ 3×2/640/426/faa3649461426539552f776310a8a4f2/ lx/image_20190912phf9127.jpg)

Lo stimato giornalista Jamil Chade, che segue il quadro internazionale a Ginevra, informa che il cosiddetto ministro degli esteri del Brasile, Ernesto Araújo, in un testo sulle reti sociali afferma che “il coronavirus ci sveglia di nuovo con l’incubo comunista” e che l’idea è di trasferire poteri all’Oms per un piano comunista. La pressione dell’esecutivo federale per riaprire tutte le attività è molto forte, coadiuvata dagli industriali.

Da https://infobrasile.it/wp-content/uploads/brasile-cartina.gif

Sull’attore della scala intermedia, cioè i governatori dei singoli Stati, ricade la gestione reale della pandemia. Essi seguono in generale le disposizioni Oms, con molte difficoltà, dal momento che i trasferimenti di risorse dal centro sono lentissimi. Così come rallentati al massimo risultano i versamenti di sussidi emergenziali di livello inadeguato e destinati comunque a una minoranza di cittadini. Di fatto vi è una dicotomia di poteri contrapposti, esecutivo federale da un lato e governi statali e amministrazioni comunali soprattutto delle grandi città dall’altro.

San Paolo è in quarantena, il sindaco ha su questo posizioni ferme, anche se è probabile una parziale riapertura del commercio e dell’industria. La città è silenziosa, il traffico quasi nullo, l’aria respirabile. Lo Stato di San Paolo con i suoi 44 milioni di abitanti (12 nel comune di San Paolo, 21 nella Grande San Paolo) è in quarantena e così il resto del Paese, nonostante il negazionismo che viene dall’alto. L’insostituibile SUS/Servizio unico di salute, martoriato da un lustro di riduzione degli investimenti, si impegna ovunque in modo esemplare. La sanità privata latita.

Il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro

Il pericoloso contesto sanitario è aggravato dal comportamento pubblico del signor Bolsonaro che in continuazione convoca assembramenti dei propri sostenitori per esprimere opinioni negazioniste e incitare a riprendere le attività. Questo a sua volta incentiva gruppi vari di attori negazionisti che qui, come negli Stati Uniti, manifestano, per lo più in carovane di auto, in varie città, a cominciare da San Paolo. Appoggiano tali posizioni nefaste i padroni sacerdoti delle chiese neopentecostaliste che chiedono l’apertura dei loro locali, si fanno fotografare con il signor Bolsonaro e seminano confusione e disorientamento oltre che contagio fra i loro infelici seguaci. Il rischio del sovraccarico delle strutture sanitarie pubbliche ovviamente in questo modo aumenta. Ripeto che la sanità privata, in Brasile molto vasta, è perfettamente assente. Come assenti, sempre a livello federale, sono alcuni ministri che fino a ieri erano di un protagonismo patologico: il cosiddetto ministro della giustizia Sérgio Moro è scomparso, così come non si vede e non si sente la pastora cosiddetta ministra della famiglia, della donna e dei diritti umani Damares Alves: come se in questo periodo i due settori non chiedessero vigilanza e massima presenza istituzionale. Si pensi alle carceri con la cifra astronomica di 800.000 detenuti e alla violenza domestica in quarantena.

In questo contesto domenica 19 aprile, giorno dell’esercito, il signor Bolsonaro ha ritenuto opportuno presentarsi davanti alla caserma generale dell’esercito a Brasilia radunando suoi accoliti inneggianti alla fine dell’isolamento sociale, alla reintroduzione dell’Atto Istituzionale 5/AI-5 emanato nel 1968 dalla dittatura militare, alla chiusura del Parlamento e del Supremo tribunale federale/STF. Il virus dell’attacco alle istituzioni dilaga pericoloso e volgare.

Teresa Isenburg, docente universitaria, dal Brasile