Il 9 settembre 2019 CasaPound Italia e Forza Nuova vedono chiudere alcune centinaia di pagine pubbliche ed alcuni profili privati dei suoi militanti su Facebook e su Instagram. Il 3 ottobre successivo vengono chiuse le pagine delle associazioni studentesche interne ai due partiti, Blocco Studentesco e Lotta Studentesca. E l’operazione continua, con altre pagine che vengono via via chiuse, come quella degli ZetaZeroAlfa (lo storico gruppo musicale interno a CasaPound) a metà novembre.

La cosa ha avuto e sta avendo un impatto fortissimo sulle capacità comunicative di questi due gruppi. CasaPound Italia in particolare, che ha annunciato di non partecipare più ad elezioni col proprio simbolo — per quanto si ripropongano di candidarsi in altre liste ed offrire il proprio contributo a Lega, Fratelli d’Italia e M5S — rischia di non poter avere neppure la visibilità elettorale che riceve sui media tradizionali.

Questa esclusione non arriva però completamente di sorpresa. Già c’erano stati ripetuti ban per singole pagine o singoli contenuti e, in almeno un’occasione, a ridosso delle elezioni Europee 2019 anche quella che, alla luce di quanto avvenuto di recente, può essere vista come una prova generale. Ma già a fine giugno del 2018 Generazione Identitaria e tutte le sue filiazioni internazionali avevano subito la stessa sorte, così come una serie di importanti pagine del nostalgismo fascista nelle settimane immediatamente precedenti le elezioni del marzo 2018. Per non dire del fatto che ci sono analoghe iniziative verso formazioni di paesi di tutto il mondo.

Cosa è successo.

Delle circa duemila pagine Facebook attribuibili a CasaPound Italia e a Forza Nuova ne sono state chiuse un numero stimabile fra 400 e 500 per ciascuno dei due gruppi, incluse quelle delle formazioni studentesche, intaccandone quindi circa la metà del patrimonio di presenza social. Però va sottolineato che le pagine sopravvissute sono pagine che, a parte singole eccezioni (ad esempio quella de Il Primato Nazionale), non hanno la visibilità di quelle chiuse. Insomma, l’operazione ha certamente raggiunto l’obiettivo di ridurre in maniera decisiva l’uso di Facebook ed Instagram come mezzo di propaganda per le massime presenze dell’estrema destra e dell’attuale fascismo italiano.

Le “camicie ocra” del neo MSI-DN, non solo per Halloween.

La ratio di questi interventi da parte di Facebook è però difficilmente decifrabile.

Intanto non si capisce quale sia l’esatto criterio con cui sono state scelti i gruppi da colpire.
Perché Forza Nuova sì e Lealtà-Azione no? Perché CasaPound sì e il redivivo MSI-DN e le sue imbarazzanti “camicie ocra” no?

Inoltre, se è evidente che tutte le pagine nel cui titolo compaiono le parole “CasaPound” e “Forza Nuova” siano state valutate per il ban, risulta meno comprensibile la scelta di chiudere solo una parte delle pagine riferite a “La Salamandra”, a “La Foresta che Avanza” o a “La Muvra” (per una disamina di tutte le sigle si veda il nostro studio sull’ecosistema di CasaPound).
Per non dire del fatto che se davvero Facebook valuta che questi gruppi diffondano odio in rete non è evidente la motivazione per cui si lascia operare l’organo stampa di CPI o la sua casa editrice (Altaforte Edizioni) e il “laboratorio culturale e politico” di FN (Ordine Futuro) o il partito Alliance for Peace and Freedom, che di Forza Nuova è un’estensione internazionale.

Appare poi poco ragionevole procedere a ondate successive, prima le sigle principali, poi ad un mese di distanza quelle studentesche — inciampando anche su provvedimenti temporanei — permettendo a questi gruppi di replicare più e più volte la strategia vittimistica che contraddistingue il neofascismo.

Da ultimo ci si può domandare cosa abbia fatto scattare proprio adesso questo provvedimento. Perché in fondo non ci sono novità nella linea politica o comunicativa nelle formazioni dell’estrema destra, sono oggi quello che sono sempre state e se hanno a che fare con i temi di odio oggi avevano a che farci anche ieri. E l’espulsione è avvenuta senza che Facebook abbia modificato le proprie policy.
Insomma, tutto questo ci lascia con alcuni interrogativi: che tipo di scelta ha fatto Facebook, è una scelta di tipo politico? Oppure si riducono i discorsi di odio ad una questione linguistica, cioè non si giudicano le idee ma la maniera in cui si esprimono? O magari è una questione prettamente economico/aziendale, dove si è valutato che quelle presenze rendano spiacevole la piattaforma e quindi meno redditizia?

Facebook ha dichiarato che l’iniziativa è stata presa dal quartier generale e non dalla divisione italiana del social network. Se un’operazione condotta ad un livello così alto può essere comprensibilmente incompleta di fronte a realtà politiche così eterogeneamente strutturate e per di più in un contesto locale particolare, se la tempistica si spiega magari con una tardiva presa di coscienza, rimangono aperte le altre questioni.
E, soprattutto, come mai deve essere un’azienda privata a farsi carico di tutto questo?
Davvero non è una questione che riguarda la salute della democrazia in Italia ed ovunque? Perché se queste formazioni sono piccole e numericamente del tutto secondarie hanno però una funzione di apripista, iniziano un processo di normalizzazione di idee che poi possono essere fatte proprie da gruppi ben più grandi.

La reazione.

Nel frattempo la reazione delle due formazioni all’esclusione dai social network è stata forte, in un primo tempo si è risposto con sdegnato orgoglio (“Risponderemo con più piazza e più reclutamento.“, 9 settembre, account Twitter @RobertoFioreFN segretario FN; “Noi non siamo ologrammi da social. A noi ci trovi giorno e notte, in carne, ossa e sangue.“, 13 settembre, account Twitter @antoniniCpi vice presidente CPI) poi, più prosaicamente, hanno fatto causa a Facebook per poter riaprire le pagine chiuse.
Se il percorso processuale in un tribunale italiano difficilmente porterà risultati, la situazione potrebbe essere più favorevole su un altro livello: Facebook si sta attrezzando con una sorta di Corte d’Appello che valuterà i vari casi di esclusione. Non è detto che la situazione non possa capovolgersi.

L’annuncio dello “storico scontro” fra Forza Nuova e Facebook.

Nel frattempo la questione si sposta anche fuori dai social media.
Forza Nuova ha optato per una causa civile, per “uno storico scontro fra FN e Zuckerberg”. Il 14 gennaio 2020 si daranno le mosse a questa iniziativa.
Sebbene ci par di notare che nella comunicazione di Roberto Fiore la questione sia stata ripresa poche volte.

Al contrario dalle parti di CasaPound continua ininterrotta la battaglia a colpi di dichiarazioni per poter tornare su Facebook, con appelli dove si chiede: “gli uomini liberi devono mobilitarsi”. Il 18 ottobre, con un’azione coordinata in varie località, i militanti hanno imbavagliato alcune statue. La prima udienza della causa in questo caso sarebbe dovuta essere il 13 novembre, ma non se ne è saputo più niente.

E adesso?

Volantino della nuova Azione Studentesca, rifondata nel 2016, sulle manifestazioni ambientaliste di settembre 2019

Insomma: perché dopo Utøya, Christchurch, il recentissimo attacco in Germania e gli innumerevoli atti di violenza disseminati in tutto il mondo continuano ad esserci gruppi politici organizzati che attraverso decine e decine di pagine Facebook inneggiano a “Blut und Boden”, quel “sangue e suolo” che fu il perno ideale su cui venne edificata la politica razziale e di aggressione del nazismo?

Davvero siamo ancora dentro la legalità costituzionale?

Perché in fondo c’è di più. Come già rilevato da molti commentatori è evidente che ci sia un problema generale.
Una volta accettato che le piattaforme social sono un luogo di formazione delle opinioni e di diffusione di idee è inevitabile che una tale capacità non può essere gestita da un’azienda privata in totale indipendenza.

E se incidentalmente tale gestione capita che vada in una direzione auspicabile questo non toglie nulla al fatto che si debba infine riflettere su questa sorta di “esternalizzazione” della cura della democrazia: chi fa proprie le idee fondanti di nazismo e fascismo è fuori e in opposizione alle regole di convivenza civile e deve essere per primo lo Stato ad occuparsene.