Beppe Fenoglio in Alta Langa (Foto di Aldo Agnelli – Archivio Centro Studi Beppe Fenoglio, Alba)

Il 1° marzo 2018 Beppe Fenoglio avrebbe compiuto 96 anni. E invece ci ha lasciati troppo presto, una notte del lontano febbraio 1963. Da allora, prima lentamente, poi in maniera più svelta e inesorabile, l’autore della Malora e dei Ventitre giorni della città di Alba è diventato l’uomo di riferimento e il simbolo della Resistenza, quello scrittore solitario – “il più solitario di tutti” – affermava Calvino, “che riuscì a fare il romanzo che tutti avevamo sognato, quando nessuno più se l’aspettava”. Siamo nel 1964 e il riferimento è a Una questione privata, non sapendo ancora, l’amico ligure, dell’altro gioiello, Il partigiano Johnny, che riposava nei cassetti di casa Fenoglio.

E poi, accanto al filone resistenziale, c’è tutta l’epopea delle Langhe e di chi ci ha zappato sopra; e il ritorno alla vita normale, dopo il partigianato, e le altre “questioni private” che hanno fatto grande ogni racconto del soldato di Cromwell – come amava definirsi – con la Bibbia in mano e il fucile in spalla.

E forse oggi Beppe Fenoglio è di quella stagione l’autore più ‘fresco’ proprio perché fu migliore d’altri ad accompagnare per mano la letteratura italiana al di là degli anni Cinquanta (quando, stando sempre alle parole di Calvino, il romanzo prendeva ormai “il suo corso elegiaco-moderato-psicologico”) e ben oltre i Sessanta, senza tradire l’affetto e l’attaccamento al paesaggio e ai temi che furono la cifra della narrativa scaturita dalla Guerra.

Possiamo quindi dire che Beppe Fenoglio è oggi un autore modernissimo e imprescindibile. Un modello, una fonte di ispirazione. Per tutto questo, e per festeggiare insieme il suo novantaseiesimo compleanno, incontriamo Margherita Fenoglio, figlia di Beppe, oggi avvocata nella città natale di Alba.

Beppe Fenoglio è morto quando lei aveva appena due anni. Immagino quindi che non abbia conservato ricordi diretti di suo papà…

Effettivamente ero troppo piccola, ma tutta la mia famiglia me ne ha parlato tanto, così come i suoi amici. Ancora oggi, non passa giorno senza che io parli di lui. Fortunatamente, uno dei più cari amici di mio padre, Aldo Agnelli, era un fotografo di professione; entrambi amavano fortemente la Langa e, quindi, quasi ogni domenica andavano su e giù per le colline. Aldo ha scattato così molte fotografie, (negli anni ‘50 gli scatti erano rari, per lo più in posa e in studio), che mi hanno restituito la figura di mio padre.

 

Quindi la presenza di suo padre è costante, piena, robusta: ci sono i consueti aneddoti, tramandati dai parenti, e c’è l’“album di famiglia”, con le foto migliori; e poi ci sono i libri, una foresta di fogli tra ciò che è stato pubblicato quando era ancora in vita e ciò che è affiorato dopo. Ma andiamo con ordine: se dovesse indicare la foto a cui è più affezionata quale sceglierebbe?

Certo che quelle in cui mi dà il biberon hanno un posto privilegiato nel mio cuore; se fossi, però, costretta a sceglierne una soltanto direi quella in cui è ritratto in Alta Langa, di tre quarti, quasi di spalle, in maniche di camicia, con lo sguardo lungo sulle sue amatissime colline; penso che sia molto evocativa, chissà, forse in quel momento, stava già scrivendo ….

 … e tra gli aneddoti raccontati in casa, magari da sua madre Luciana, o dai nonni, o dagli zii Walter e Marisa?

Molti, moltissimi, ma non bisogna dimenticare che a casa era un ragazzo come tutti, per nulla introverso, amante dello sport e del cinema.

Ciò che ha fatto sempre sorridere è il fatto che non fosse capace di far nulla con le mani, mentre la mia mamma era una donna assai abile; mio padre guidava malissimo e mia madre andava in giro con la targa della Vespa ammaccata… perché le piaceva fare piccole impennate. C’è poi un ricordo della mia mamma che mi intenerisce sempre. Quando sono nata, mio padre era molto orgoglioso di quella neonata di quattro chili con gli occhi azzurri e, quindi, voleva spingere personalmente la carrozzella… però andava sempre diritto, perché non sapeva come girarla…

Margherita Fenoglio

E poi veniamo ai libri. Qual è stato il primo libro di suo padre che ha letto?

Il primo libro è stato La malora, poi alcuni racconti, in seguito Una questione privata e via via gli altri.

E qual è il suo preferito?

Fra i romanzi non posso dire; ognuno di essi ha qualcosa di speciale e di imperdibile. Fra i racconti, invece, il mio preferito è Il Gorgo, due paginette di una potenza davvero straordinaria.

Tra tutti gli autori che hanno scritto di Resistenza, Beppe Fenoglio sta forse diventando quello più amato, più imitato, più vicino alla sensibilità contemporanea. Che ne pensa?

Credo che al di là dello stile, di cui tutti parlano con accenti eccellenti, i grandi temi trattati nelle sue opere affascinino ancora oggi il lettore di ogni età: la guerra, la malora, l’uomo e il suo destino, la morte e la violenza, il bene e il male, la libertà e la pace…Temi tutti universali e per questo ancora estremamente attuali.

Penso anche che i suoi lettori, almeno quelli più appassionati, abbiano riconosciuto in mio padre anche la grandezza dell’uomo, non solo dello scrittore.

Sin da giovane mio padre aveva capito che nella vita occorreva sempre “scegliere” da che parte stare. Mi piace ricordare un passo del professor Pietro Chiodi che descrive così il suo incontro con mio padre: “Io avevo ventitré anni quando giunsi ad Alba per insegnare filosofia e storia al liceo classico. Fenoglio ne aveva allora diciotto. Per il ventotto ottobre era obbligatorio svolgere un tema ministeriale di elogio sulla marcia su Roma. Nell’ora precedente alla mia il professore di italiano aveva dettato il solito insulso tema. Quando io entrai in classe notai subito uno studente nel primo banco con le braccia incrociate che guardava annoiato il foglio bianco. Era Beppe Fenoglio. Lo invitai a scrivere, ma scuoteva la testa. Preoccupato per le conseguenze, feci chiamare il professore di italiano. Era Leonardo Cocito. Parlottarono da complici. Ma non ci fu verso. La pagina rimase bianca”.

Attorno alla figura di suo padre fioriscono manifestazioni, iniziative, produzioni artistiche sempre più varie e frequenti. Da poco è uscito nelle sale il film dei Taviani basato su Una questione privata; Mauro Carrero ha scritto alcune canzoni ispirate alla sceneggiatura che suo padre stava scrivendo nel ‘62 per Gianfranco Bettetini; poi c’è la Maratona fenogliana, ogni anno… In tutte queste iniziative, ho l’impressione che si mescolino la passione per lo scrittore e l’intellettuale, ma anche l’affetto per l’uomo.

È proprio così, c’è un affetto nei suoi lettori che mi commuove. Lo sento ovunque. Al Centro Studi di Alba abbiamo notato che i visitatori, appena entrati, chiedono se si possa visitare casa Fenoglio, ma poi, immediatamente dopo, tutti si riferiscono a lui chiamandolo per nome, Beppe. Ritengo che fra mio padre ed i suoi lettori si sia creata un’intimità quasi familiare.

È vero che in molti vengono in pellegrinaggio sulla sua tomba? E che a volte lasciano un ricordo, dei fiori, una sigaretta, un biglietto?

In pellegrinaggio non so, certamente molti gli lasciano un ricordo; ho persino trovato un angioletto ed un cero e, poi, spesso trovo le sigarette. Alcune anche accompagnate da un mozzicone lasciato di proposito sotto la lapide e da un biglietto; su uno di questi c’era scritto, testualmente: “io non fumo, ma oggi voglio proprio fumare una sigaretta insieme a te”. Io lo trovo un gesto intimo, bellissimo e commovente. È come se i suoi lettori andassero al cimitero a trovare un amico con il quale scambiare due parole, fumando una sigaretta.

È una grande consolazione per chi ha perduto un genitore così presto sapere e toccare con mano quante persone lo amino, lo ammirino e lo prendano ad esempio.

E lei, cosa vorrebbe portargli, oggi, in dono per il suo compleanno?

Che strana domanda, non ci ho mai pensato; da cinquantacinque anni, ogni settimana, gli porto, con i fiori, tutto il mio amore e la mia devozione; spero che basti e che, ovunque si trovi, sia orgoglioso di me.

Giacomo Verri, scrittore