“Vorrei precisare che noi non dobbiamo dire la verità per convincere quelli che non la conoscono, ma per difendere quelli che la conoscono”
William Blake
È corretto oggi fare riferimento ad una letteratura omosessuale, di genere, o sarebbe più giusto evitare di etichettarla in modo così netto al punto da farla diventare qualcosa di diverso a tutti i costi? Questo mi sono chiesta nel momento in cui cercavo di individuare quel “diverso” all’interno delle incisive pagine, che sembrano non voler fare sconti a nessuno, del nuovo romanzo di Paolo Vanacore, cui si deve già uno splendido contributo a riguardo. Nel 2014, infatti, Tempesta Editore pubblicava la fiaba “Mi batte forte il cuore” dove Vanacore racconta ai bambini l’omogenitorialità con estrema maestria e delicatezza, pienamente padrone di un linguaggio universale, quello dell’amore, capace di rivolgersi ad un pubblico senza età. Ed è proprio la versatilità di questo autore a colpire, la sua capacità di saltare da uno stile all’altro con la destrezza di un… canguro.
Un canguro che, a tratti divertito e per altri versi spettatore passivo, compare e scompare nel romanzo facendo da sfondo a una grande storia d’amore, dove l’omosessualità, il sesso, la menzogna e la vita tutta, vengono sbattute in pieno volto al lettore che viene completamente assorbito da una vicenda in cui non può non riconoscersi, anche se solo in parte. Christian Bobin scriveva: “La verità viene da cosi lontano per raggiungerci che quando arriva a noi, è sfinita e non ha quasi più nulla da dirci”, ma quella del protagonista Edoardo è invece una verità che grida con tutto il fiato in gola. A volte riesce ad esserci tanto di quell’amore in chi ha paura di provarlo che è impossibile non avvertirlo. Quanto amore deve esserci in un ragazzo estremamente legato alla sorella che purtroppo si va a innamorare dell’uomo che lei stessa vorrebbe sposare? Quanto amore occorre per aggrapparsi a lui senza far trapelare nulla di quello che prova, né con i propri genitori, né con Margherita, sorella tanto amata e rifugio sicuro della sua adolescenza? Quanto amore occorre per non ammettere la propria solitudine in quel suo segreto così difficile da confessare? Ancora più difficile quando la sua incapacità si aggroviglia intorno a quella del padre, che a sua volta mente e a quella della madre, che finge di non sapere. Continui sono i parallelismi con il mondo animale cui il protagonista, dipendente del Bioparco di Roma, è a stretto contatto. Konrad non sbagliava nel dichiarare che: “L’anello mancante tra la scimmia e l’uomo civilizzato esiste: siamo noi”.
“L’ultimo salto del canguro”, (Castelvecchi, 2017) è un libro talmente colmo di significati che alla fine l’omosessualità, tema centrale e straripante del romanzo, diventa emozione e non più un modo di essere. Una storia che si regge saldamente sulle proprie gambe, un colosso che nonostante tutto non ha paura. Siamo tutti dalla parte di Edoardo e ce ne rendiamo conto solo nel momento in cui soffriamo o gioiamo assieme a lui. Il suo riscatto, la libertà, il salto di quel bambino che giocava con la sorella e che a un certo punto si perde per poi ritrovarsi adulto, cambiato ma non diverso. E in parte noi con lui. Questo il merito di Paolo Vanacore che con coraggio, orgoglio e competenza ancora una volta è riuscito a fare breccia, ci ricorda che prima di essere uomini e donne in grado di giudicare, siamo creature empatiche, capaci di commuoversi e provare fortissime emozioni davanti al sacrificio di un cuore che batte, a prescindere.
Margherita Frau, scrittrice
Pubblicato giovedì 16 Novembre 2017
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