primo de lazzari
Primo De Lazzari, nome di battaglia “Bocia”

Giornalista e ricercatore storico, veneziano, milita nella brigata Garibaldi Tollot-Ferretto (Mestre, Treviso, Belluno). Dopo la Liberazione s’impegna nella vita politica come responsabile per il Pci del mandamento di San Donà di Piave, indi di Portogruaro, segretario Cgil Portogruaro ad interim. In seguito segretario provinciale della Federazione Giovanile Comunista Italiana, poi segretario regionale del Veneto e componente della direzione nazionale, a fianco di Enrico Berlinguer. Consigliere comunale di Eraclea. Trasferitosi a Roma diviene segretario nazionale della Associazione culturale Italia-Polonia, indi dell’Associazione Italia-Cecoslovacchia.

Tra le sue pubblicazioni Storia del Fronte della Gioventù nella Resistenza (Editori Riuniti e 3° ed Mursia); La Resistenza cecoslovacca-1938-’45 (editore Napoleone); Eugenio Curiel al confine e nella Lotta di Liberazione (Teti Editore Milano); Le SS italiane (Teti Editore); Ragazzi della Resistenza (Teti Editore).

È stato consigliere nazionale Anpi, Vicepresidente dell’Anpi Roma-Lazio fino al 2012 e dirigente delle attività per la Memoria storica nelle scuole. Ha collaborato e continua a collaborare con Patria Indipendente. 

Anni 50. Un comizio, a Venezia. Parla Primo De Lazzari, al suo fianco un altrettanto giovane Enrico Berlinguer
Anni 50. Un comizio, a Venezia. Parla Primo De Lazzari, al suo fianco un altrettanto giovane Enrico Berlinguer
Documenti, lettere, testimonianze, diari: nel volume di De Lazzari le testimonianze dello straordinario apporto di giovani e ragazzi alla lotta di Liberazione
Documenti, lettere, testimonianze, diari: nel volume di De Lazzari le testimonianze dello straordinario apporto di giovani e ragazzi alla lotta di Liberazione

Primo ricorda in un’intervista: «Arrivò l’8 settembre. Giunsero due staffette da Mestre che spingeranno noi giovani ad organizzare a Marcon e dintorni il primo nucleo, anzi il primo embrione di banda ribelle, con i militari sbandati. Intanto tornavano i soldati che erano sulla frontiera della Venezia Giulia; sfuggendo ai tedeschi in camion o buttandosi dal treno. I ferrovieri rallentavano prima di entrare nelle stazioni di Portogruaro, di San Donà di Piave dando modo ai soldati di saltare giù. I tedeschi, che li aspettavano nella stazione di Portogruaro, non li trovarono più, come avvenne a San Donà. Altri fanno il giro di Portogruaro, di San Donà, aggirano Mogliano e vanno verso Feltre e Belluno. Uno di questi sarà Elio Fregonese che diventerà uno dei miei comandanti a Treviso e Vittorio Veneto. Anche lui, con due antifascisti trevigiani, Pietro Dal Pozzo e Vittorio Ghidetti, raccomandano di lasciar perdere i viveri: “Bisogna recuperare le armi, non è vero che la guerra è finita”.

Non era finita, per due ragioni. La prima. Ci sarà la guerra contro i tedeschi. Chi abitava vicino alle ferrovie – e noi eravamo vicino alla frazione di Gaggio – sentiva i discorsi: “Ci sono i tedeschi con molti carri armati, molti blindati e molti soldati sui treni che transitano”. Molti soldati germanici sulla linea da Trieste, che passa per San Donà, andavano verso Mestre.

Seconda ragione: chi va a lavorare e chi comincia come me i primi giorni di scuola, incontra i soldati che fuggono. Sulla strada Mestre-Treviso, il Terraglio, verso il crocevia Quattro Cantoni c’era una caserma molto più importante, la “Matter”, con alcune centinaia di militari. Vedemmo scene allucinanti: il 10 settembre ’43 i nostri militari arrestati, disarmati da non più di 10/15 soldati germanici; i nostri erano centinaia, volendo li avrebbero sopraffatti solo con le nude mani, nemmeno sparando, perché avevano le armi. Questo ha impressionato noi giovani. I soldati germanici, che non avevamo mai visto in Italia, erano quelli dell’Africa Korps, con pantaloncini corti, berretto giallo e verde, occhiali antisabbia, armatissimi con armi automatiche. Subentrò in noi una specie di umiliazione.

Ora è difficile capire, lo so per cognizione di causa: i ragazzi nelle scuole medie, dove vado per testimoniare, mi dicono: “Ma cosa interessava a lei dell’umiliazione? Che vuol dire l’orgoglio nazionale?”. È difficile capire il sentimento che c’era di sentirsi italiani e dire: ancora una volta i tedeschi! Sono qui di nuovo dopo 25 anni a comandarci, sempre loro, dopo aver vessato nella prima guerra mondiale i nostri nonni.

In quest’altra interessante pubblicazione il testo del giuramento di fedeltà ad Hitler dei ventimila italiani che durante la repubblica di Salò si misero sotto l’ombra della svastica
In quest’altra interessante pubblicazione il testo del giuramento di fedeltà ad Hitler dei ventimila italiani che durante la repubblica di Salò si misero sotto l’ombra della svastica

Bisogna prendere le armi in primo luogo e in secondo luogo aiutare i militari che vogliono raggiungere il loro paese, che vogliono andare verso Bologna, Firenze, Roma; aiutarli ad evitare il posto di blocco della stazione di Mestre, mandandoli verso Campalto, girando al largo. Una delle mie prime attività si è svolta nella borgata del Colmello e a Gaggio, a sistemare cartelli indicatori verso Mestre, Marghera, le direzioni di Treviso e Padova, dove prendere i treni. Ho fatto questo con il mio compagno di scuola, un ragazzo giovanissimo che il 25 aprile ’45 purtroppo verrà ucciso: Adolfo Ortolan “Dolfino”. Molto sveglio, veniva a domandarmi libri, a discutere. Quando aveva cominciato la 1ª media, io avevo già preso il diploma. C’erano altri ragazzi svegli che venivano a chiedermi libri. Così recuperiamo armi, scarponi militari, munizioni, cappotti, una radio.

Prendiamo soprattutto armi: rivoltelle, caricatori, bombe a mano, fucili. In collegamento con Umberto De Bei e Felisati a Carpenedo, vengono immediatamente trasportate a Favaro e Mestre, una parte, e l’altra a Treviso. Arrivano un paio di antifascisti fra i quali Elio Fregonese; viene a recuperare cassette di bombe a mano. Questo è stato un po’ l’esordio.

Nel ′43 a 16 anni e mezzo Berto De Bei e Felisati mi danno l’incarico di prendere contatto con una figura che sarà chiave nella mia vicenda e in modo traslato nelle vicende di altri: Giacomo Ortolan, un ex carabiniere. Abbandona l’Arma dopo un certo numero di anni, non saprei dire quanti, diventa operaio a Porto Marghera. Ortolan è dichiaratamente antifascista, viene a casa mia dicendomi: “So che i cartelli li hai messi tu, quindi puoi fare qualcosa; vuoi fare di più?”. Gli dico di sì. “Organizza i giovani che conosci”. In uno scritto lo racconto».

Primo prende contatti con alcuni giovani, organizza la prima cellula, poi aggregata al gruppo partigiano che fa capo a Campalto, a Ettore Mestriner, “Negro”; poi a Vincenzo Fonti, “Alì” e Umberto De Bei, Martino Ferretto, Angelo Gobbo, Tommaso Abate e come dirigente Giacomo Ortolan. Organizza il gruppo di giovani, assieme a Dolfino Ortolan, Mario Carmignola, Valter Chinellato, Giuseppe Favaro, Ugo Ortolan, come Fronte della Gioventù. L’inizio avviene in questo modo e si dedica al reclutamento giovanile secondo l’indicazione del Fronte della gioventù di Eugenio Curiel.

Primo ha sempre parlato malvolentieri di se stesso nella Resistenza, fa parte del suo carattere. Non ha vissuto episodi eccezionali, dice. Ritiene di aver vissuto ciò che hanno vissuto gli altri partigiani. Azioni di sabotaggio, scontri, eliminazioni di delatori e collaboratori dei nazisti, la terribile battaglia frontale sul Cansiglio (era la guerra, con la paura e il coraggio e le forze nemiche sovrastanti), le notti di guardia nel bosco con i gufi dai grandi occhi gialli. Aveva diciassette anni. Quando iniziò ne aveva sedici.

Video di Maridarbi  (Marina Ferrante)