Un Paese senza memoria è un Paese senza futuro

(L. Sciascia)

L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (Anpi) si costituisce nel giugno del 1944 in uno dei periodi più drammatici della nostra storia nazionale, quello compreso tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile del 1945. In quest’arco di tempo la situazione politico-militare in Italia risultava decisamente complessa. Lo storico Bontempelli per descriverla parla delle “tre Italie dell’autunno del 1943”: l’Italia della Repubblica Sociale, l’Italia del Regno del Sud e l’Italia della Resistenza all’occupazione tedesca. Da un lato si fronteggiavano due eserciti stranieri, dall’altro due opposte entità statali italiane. Al tempo stesso nei territori occupati dai tedeschi si consumava una guerra civile tra partigiani e fascisti repubblichini [1]. C’è da aggiungere però che una di queste due entità, la repubblica di Salò, non aveva legittimazione giuridica; essa si dimostrò ben presto uno stato-fantoccio al servizio del Terzo Reich.

Claudio Pavone nel suo noto saggio sulla Resistenza [2] sostiene che in quel periodo si combatterono in Italia tre guerre: una guerra “civile”, combattuta militarmente tra fascisti e partigiani; una guerra “patriottica”, combattuta dai partigiani contro i tedeschi, per la  liberazione della Patria dall’occupazione straniera, quella che è considerata una sorta di “secondo Risorgimento” [3] in quanto si ispirò direttamente ai miti, ai simboli e ai protagonisti del “primo”;  e infine una guerra “di classe”, che innalzava al livello di lotta armata le prime azioni rivendicative operaie del marzo ’43, creando uno stretto collegamento politico tra gli scopi della lotta per l’indipendenza nazionale e quelli della lotta di classe contro l’alta borghesia, che si era asservita al fascismo e al nazismo in cambio della tutela dei propri interessi economici. Anche questa interessante lettura della Resistenza, per altro per alcuni aspetti controversa, andrebbe sottoposta ad ulteriori verifiche storiografiche. Ma non c’è dubbio che la situazione presentava evidenti elementi di complessità.

In questo quadro di avvenimenti un ulteriore elemento di instabilità era introdotto dall’atteggiamento ambivalente che aveva assunto il Comando Alleato in Italia, diffidente e opportunista nei confronti della Resistenza italiana. Da un lato ne sfruttava l’apporto logistico e bellico, ma dall’altro ne temeva in prospettiva gli orientamenti politici, a causa del prevalere in essa della componente comunista (il “vento del Nord”). Si mostrava invece più favorevole a mantenere formalmente in vita un governo monarchico, che pur essendo ormai isolato politicamente e socialmente dal resto del Paese dopo la fuga dell’8 settembre, sarebbe risultato più facilmente manipolabile per i propri scopi al termine del conflitto.

L’8 settembre ebbe ripercussioni travolgenti anche nella vita quotidiana della popolazione civile [4]. Già disillusa dal fascismo e stremata dai bombardamenti e dalla fame, essa subiva l’occupazione sperando in un imminente arrivo degli Alleati (“attesismo”). Il senso comune della collettività era sopraffatto dal bisogno individuale della sopravvivenza quotidiana. Le città registravano un notevole riflusso di persone, soprattutto “sfollati” e “reduci” militari. Questi nuovi arrivi però non facevano altro che aggravare il problema della penuria di alloggi, di lavoro e di cibo.

Fu all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre che, a seguito del repentino evolversi delle vicende belliche nel meridione d’Italia, per colmare il vuoto di potere politico e militare lasciato dal governo monarchico in fuga, per accelerare la progressiva disfatta militare nazifascista e contribuire attivamente alla liberazione del Paese, si autocostituì il Comitato Centrale di Liberazione Nazionale (CCLN) e si svilupparono sotto il suo coordinamento le formazioni combattenti partigiane, da cui originò direttamente l’Anpi. Tali formazioni riflettevano nella loro organizzazione militare i differenti orientamenti politici dei partiti democratici antifascisti che componevano il CCLN.

Le “Brigate” partigiane più numerose erano le “Garibaldi” e le “Matteotti”, di orientamento rispettivamente comunista e socialista, i cosiddetti “rossi”, dal colore dei fazzoletti che indossavano per distinguersi. Numerose erano anche le brigate di “Giustizia e Libertà”, i “verdi”, che si riferivano politicamente al Partito d’Azione, e le brigate “Autonome” dei partigiani monarchici non badogliani, gli “azzurri, che avevano come riferimento il Partito Liberale. Di una certa consistenza erano anche le brigate dei “bianchi” o “Brigate del Popolo”, formate dai partigiani cattolici.

L’organizzazione militare della Resistenza rispecchiava fedelmente quella politica del CCLN: “unitaria” riguardo allo scopo, ma sostanzialmente “federativa” in relazione alla natura politica delle sue componenti. Questa sua caratteristica, fondamentale punto di forza e di coesione durante la guerra di liberazione, divenne però anche il principale punto di debolezza del movimento associativo resistenziale nell’immediato dopoguerra.

I successivi incalzanti eventi bellici registravano la progressiva conquista di tutto il sud Italia da parte dell’esercito alleato. Nella tarda primavera del 1944, superato finalmente lo sbarramento tedesco di Anzio, in cui era stato bloccato per quattro lunghi mesi, l’esercito alleato a fine maggio rapidamente avanzava verso nord e la sera di domenica 4 giugno 1944 l’avanguardia della 5^ Armata americana giungeva alla periferia sud della città di Roma, mentre i tedeschi si ritiravano verso nord.

Il 6 giugno del 1944, mentre a nord ancora metà dell’Italia era occupata dai tedeschi fiancheggiati dalle milizie fasciste, mentre la Resistenza si apprestava a vivere il periodo più duro e incerto della lotta armata e la popolazione civile stava per subire le spietate stragi nazifasciste (il “terribile inverno del ’44”), mentre sulle coste della Normandia era in corso il decisivo sbarco americano, a Roma, in un locale messo a disposizione dal Campidoglio come sede provvisoria, il CCLN costituiva l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, con un atto di cui purtroppo si è persa traccia formale.

La prima testimonianza documentale rinvenibile nella storia dell’Associazione è un “appello” programmatico del 26 settembre 1944, di cui ci riferisce il giornalista e studioso Lucio Cecchini [5], nel quale il CCLN ne enunciava gli scopi costitutivi. In esso il CCLN rivendicava “l’onore di promuovere la fondazione della grande famiglia partigiana”, e faceva appello a tutti i partigiani (si noti bene) “di provenienza civili, militari, e senza distinzione di partito politico”, affinché si unissero nell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. In un momento in cui, man mano che procedeva la liberazione del Paese, nascevano le più disparate associazioni partigiane senza alcuna garanzia di controllo sulle infiltrazioni fasciste, il CCLN indicava nell’Anpi l’“unico organo di raccolta, di rappresentanza e di assistenza” dei reduci della guerra partigiana, e dichiarava che con la deposizione delle armi non dovevano considerarsi esauriti i compiti della Resistenza, ma auspicava che questi si dovessero perpetuare nella vita civile (attraverso l’Anpi) con la stessa forza che ne aveva animato l’azione militare. Rifiutando esplicitamente come scopo associativo quello di “barattare” i sacrifici in guerra con privilegi o prebende in tempo di pace, l’obiettivo ideale verso cui reindirizzava tale forza unitaria era la “difesa e ricostruzione della Patria”. Si fornivano già in questo documento anche le prime linee guida di un’organizzazione interna che, senza grandi modifiche è poi giunta fino ai nostri giorni: i dirigenti dovevano essere eletti con metodo democratico; i Comitati Provinciali dovevano promuovere la costituzione di Sezioni locali.

Lucio Cecchini, autore di “Per la libertà d’Italia. Per l’Italia delle libertà. Profilo storico dell’associazione Nazionale Partigiani d’Italia”. Fu vicedirettore del GR3 e del TG3 e direttore di Patria indipendente dal settembre 2001 al settembre 2004, quando scomparve improvvisamente e prematuramente

L’assistenza “solidale” (“fraterna”) a tutti i reduci della guerra partigiana assolveva a diverse e impellenti esigenze degli ex-partigiani combattenti nel momento del loro reinserimento nella vita civile, in un periodo veramente difficile dal punto di vista economico: il lavoro, l’alloggio, le cure per i mutilati e gli invalidi, il recupero della scolarizzazione per i combattenti e per i loro figli, il riconoscimento del servizio militare prestato, il riconoscimento di onorificenze ai combattenti e alle cittadinanze, eccetera. A tal fine il CCLN assegnava all’Anpi il delicato compito di risolvere responsabilmente il problema dei “riconoscimenti partigiani”, ossia di identificare con certezza coloro che avessero titolo a far parte dell’Associazione e a beneficiare della relativa assistenza.

Al di là degli immediati scopi di assistenza e tutela rappresentativa, riunire in associazione i partigiani che deponevano gradualmente le armi rispondeva anche ad un ulteriore duplice scopo. Da un lato evitare il formarsi di gruppi di sbandati, o di gruppi impegnati in azioni di sommaria vendetta: scopo che fu conseguito solo in parte. Dall’altro, guardando ad una prospettiva di azione politica a medio e lungo termine, rispondeva all’esigenza di mantenere coesa e non disperdere la forza unitaria e la spinta ideale della vasta comunità partigiana.

L’appello del settembre ’44 si rivolgeva direttamente anche ai partigiani che erano ancora impegnati nella lotta armata a nord della Linea Gotica, incoraggiandone gli animi con la certezza di trovare, al cessare delle ostilità, un’organizzazione di categoria (una “famiglia” partigiana) pronta a prendersi cura delle loro future esigenze.

Il 21 ottobre 1944 l’Anpi traduceva il contenuto del suo primo appello programmatico in più rigorosi termini giuridici e si dotava del suo primo “Statuto organico”, nel quale enunciava formalmente i propri scopi associativi, definiva la propria organizzazione interna, sia centrale che territoriale, e ne descriveva il funzionamento. Tuttavia è bene tenere presente che in questo momento e fino a tutta la prima metà del 1945 esisteva la sola Anpi con sede a Roma, cui facevano riferimento in prevalenza i soli ex partigiani del centro Italia. Infatti nell’Italia meridionale una stabile organizzazione combattentistica partigiana non si era costituita, e al nord i partigiani erano ancora impegnati militarmente nella lotta di liberazione. La Linea Gotica, che si estendeva da Pesaro a La Spezia, divideva l’Italia in due e costituiva il fronte dell’Italia del nord, ancora saldamente occupata dai tedeschi. La durata della guerra in Italia era dunque ancora incerta e imprevedibile, ma l’esito favorevole era dato per scontato e quindi con lungimiranza i primi Governi di Unità Nazionale, espressione del CCLN, si iniziavano a porre il problema di organizzare la transizione verso il dopoguerra, anche con la costituzione e il riconoscimento formale di associazioni quali l’Anpi, a cui era affidato il compito di contribuire alla trasformazione del Paese e all’ordinata ripresa della vita civile, prestando assistenza alla vasta schiera di ex partigiani combattenti e costituendo per loro un punto certo di riferimento per l’inizio di una nuova vita.

Federico De Angelis (Roma, 1961) – due lauree a pieni voti – svolge la propria attività professionale in un’azienda di telecomunicazioni, dove si occupa di marketing. Ha anche avuto un’esperienza d’insegnamento universitario come tutor di marketing.
Questo articolo – il primo di una serie sulla storia dell’Anpi – si basa sul lavoro di ricerca svolto per la sua seconda tesi di laurea in Storia Contemporanea, da cui è tratta anche la sua prima pubblicazione: “Per una storia dell’Anpi: ricordare il passato, capire il presente, costruire il futuro”, Vignate (Mi), Lampi di Stampa, 2016.


Note:

1 –  M. Bontempelli, La resistenza italiana. Dall’ 8 settembre al 25 aprile. Storia della guerra di liberazione,

Cagliari, CUEC, 2006, p. 65.

2 – C. Pavone, Una guerra civile: saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 2006.

3  – L. Villari (intervista a), Risorgimento, Resistenza e il filo che ha tessuto l’Italia, in “Patria Indipendente” (speciale 70°),

aprile 2014, p. 76.

4 – E. Aga-Rossi, Una nazione allo sbando. 8 settembre 1943, Bologna, Il Mulino, 2006.

– L. Longo, Un popolo alla macchia, Milano, Mondadori, 1947

5 – L. Cecchini, Per la libertà d’Italia. Per l’Italia delle libertà. Profilo storico dell’associazione Nazionale Partigiani d’Italia,

Vol. I (1944-1960), Roma, Arti Grafiche Jasillo, 1996, pp. 21-22.