La luna di lassù, / dalla cupola blu, /  sporge gli occhi all’ingiù. / Udendo questa canzon

il suo bianco faccion si confonde, /  e le pare, fatto strano, / di ascoltare le Lescano.

E cantano i tuli, tuli, tulipan. / Tuli, tuli, tulipan.

Nel cantar questa canzone /  le tre Lescan / ci tenderan /  tre tuli, tuli, tulipan!  

Quale migliore colonna sonora degli anni della guerra, se non le canzoni interpretate da Alessandra, Giuditta e Caterina, o meglio Caterinetta? Sono il Trio Lescano: tre ragazze olandesi di origine ebraica capitate per caso in Italia, la terra dove mieteranno successi e fama, innovando la canzone italiana grazie alla straordinaria vocalità di un inedito trio canoro eccezionalmente dotato. Anni folgoranti in un Paese che si preparava alla guerra e dalla quale sarebbe uscito trasformato. Anni di fama per poi scomparire in un lampo e dissolvere, come neve al sole, il ricordo delle loro imprese musicali, a partire dagli anni delle leggi razziali. Eppure nei giorni della gloria le sorelle viaggiavano in Balilla con autista, vestivano abiti eleganti, mille lire al mese, stipendiate dall’Eiar, ospiti di aperitivi e cene di lusso, bevevano spumante o il Cordial Campari. Perfino il principe Umberto le aveva richieste al suo tavolo durante una serata galante. Erano arrivate a vendere trecentocinquantamila copie di un disco, numeri impressionanti per una discografia agli esordi, per il pubblico degli italiani che stava affrontando sofferenze e sacrifici.

Così, la vicenda delle tre artiste di circo e ballerine, diventate poi cantanti, è anche un’occasione per ripercorrere la storia dell’Italia negli anni che precedono la guerra e appena dopo, con la nascita e l’affermarsi della radio, della musica leggera a tempo di swing, di una politica culturale che ostacola o sostiene generi e artisti: “Funzionali al regime che le usa come oppio per il popolo”, le Lescano saranno poi vittime della discriminazione e persecuzione verso gli ebrei a opera di fascisti e nazisti [Gabriele Eschenazi, Le regine dello swing, p. VII]. Spariranno in un triste epilogo, di oblio e silenzio.

Ma intanto, ecco le regine indiscusse della canzone anni Trenta e Quaranta.

È l’Eiar (Ente italiano audizioni radiofoniche) tra il ’39 e il ’40 a traghettare nelle case degli italiani i brani del trio olandese. Sono inframmezzati da proclami, discorsi del Duce che si rivolge a un pubblico sempre più incollato al ricevitore. Il Minculpop (Ministero per la cultura popolare) ha il compito di controllare l’ente, decidere i contenuti di ogni trasmissione: quali canzoni, quali musiche, quali parole?

A partire dal 10 giugno 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia, addio alle canzoni straniere e soprattutto americane, alla radio ci sarà spazio solo per le canzonette. Di quelle che “canta che ti passa” e la guerra sarà un gioco da ragazzi, vittoria certa.

Vincere! Vincere! Vincere! E vinceremo in cielo, terra e mare! È la parola d’ordine d’una suprema volontà

Del resto, “La parola d’ordine – proclama Mussolini – è una, e una sola, categorica e impegnativa per tutti…Vincere!”

 Se il buon senso e il buon gusto consentissero un paragone tra il cuore di un combattente e il motore di una macchina – scrive Francesco Sapori su Radiocorriere –, m’azzarderei a dire che il canto è il carburante e il lubrificante del soldato. Benedette strofe! Fanno coincidere niente meno il fracasso delle armi coi sospiri dell’amore; turbano e consolano al tempo stesso, baldanzose e carezzevoli, misericordiose e spietate […]. Ciascuno aspetta il ritornello, per alzare di più la voce e concorrere all’ampiezza unitaria del coro, coro che sa di chiesa, di teatro e di guerra [Francesco Sapori, Canta che ti passa, in Radiocorriere n. 42, 18 ottobre 1941].

Alla propaganda fascista fanno comodo testi allegri e spensierati che sollevano dalle incombenti tragedie. Canta che ti passa.

Ascoltando – commenta Federico Fellini – non vi sentite il cuore leggero leggero e un formicolio alle gambe, che vi costringe ad alzarvi per ballare? Tuli-tuli-tuli-tulipàn. Canzonette sempre belle, sempre allegre, sempre tanto nostre. [Gianni Isola, L’ha scritto la radio].

Impazzano le musiche suonate dalle grandi orchestre di Cinico Angelini e Pippo Barzizza. Ritmi swing di ispirazione americana, toni leggiadri, testi quasi fanciulleschi come quelli delle Lescano: Tuli-tuli-tuli-tulipàn.

Canta che ti passa.

Prendi il mondo allegramente, sempre sorridente e felice sarai tu, cantano Sandra, Giuditta e Caterina in La gelosia non è più di moda.

Alla moda, invece, sono “Le signorine grandi firme”, quelle disegnate da Gino Boccasile per la rivista omonima che ospitava racconti a carattere umoristico o erotico. Quelle donne, versione italiana delle pin up americane, sono formose, disinvolte, seducenti, strette in abiti attillati. Tutto il contrario dello stile Lescano: magre e smunte.

Così nella canzone Signorina grandi firme (1938, con l’Orchestra Barzizza) le tre olandesi, insieme alla voce di Carlo Moreno, si azzardano a ridicolizzare l’immagine della donna italiana e la moda del tempo:

Portano i vestiti più aderenti. Vogliono fare le seducenti e lo stile un poco c’è. Ma questa gran mania è davvero una follia. Chi lo sa se questa donna esisterà. 

Infatti, quell’immagine non sta bene al regime: la donna deve essere angelo del focolare, non certo regina delle frivolezze, amante degli abiti succinti, del trucco sugli occhi. Questo messaggio deve arrivare ben chiaro alle donne del popolo. Passi per quelle ricche, quelle che possono concedersi di partecipare alle sfilate organizzate dall’Ente nazionale della moda che il fascismo promuove, come tutto ciò che è prodotto locale.

Quindi ben vengano le canzonette, da imparare in fretta e a memoria, che distraggono e spiegano alle ragazze come ci si deve comportare. Oh Ma Mà, per esempio dà l’idea dell’obiettivo prioritario di ognuna: sposarsi il prima possibile.

Negli anni del successo, sulle Lescano circolano leggende riguardanti la loro origine: di dove sono? quale storia? Come personaggi mitologici, appaiono e scompaiono, leggere, eteree. Perfette, mai un capello fuori posto. Misteriose dive.

Così, si scopre che c’è un’origine artistica che è italiana e torinese e una anagrafica, tutta olandese: “Abbiamo potuto accertare – scrive Sergio Valeri sul Canzoniere Italiano, nel 1941 con il proposito si squarciare l’alone di mistero che circonda la vita delle tre sorelle – che la primogenita Giuditta e la terzogenita Caterina sono nate in Olanda e precisamente all’Aja, mentre la secondogenita Sandra (che in realtà è la primogenita) è pure nata in Olanda, ma non nella capitale, bensì a Gouda” [Sergio Valeri, Il Trio Lescano, in Canzoniere della Radio, 15 novembre 1941].

L’Olanda, del resto, è il paesaggio che fa da sfondo a uno dei pezzi più noti del Trio, Tulipan:

Questo paesaggio, che miraggio, che sogno, che sogno. Dorme il mulino a vento. Sotto la luna d’argento dorme l’olandesino nel suo lettino piccino, ogni cosa giace, tutto tace. Che pace, che pace. Odi i fior parlar tra lor. Parlano tra loro i tuli tuli tuli, tulipan.

È il paesaggio dell’infanzia e dell’adolescenza, degli anni trascorsi a fianco di papà Alexander Leschan, acrobata ungherese che insegnerà loro l’arte circense. La madre, Eva De Leeuwe, di famiglia ebraica di genitori musicisti, è cantante di operette, e trasmette alle figlie l’amore per la musica. Loro, Alexandra, Judith e Katharina detta Kitty, traggono da qui le basi della loro formazione artistica. Poi arriveranno gli studi di danza classica, a Parigi, dove per anni Giuditta e Sandra frequenteranno una scuola. E la danza, l’esercizio continuo sul proprio corpo saranno il punto da cui partire per costruire una voce: diaframma, addominali, polmoni, respiro, suono.

Poi papà Alexander incappa in un incidente gravissimo, fine della carriera. Tocca alle più grandi Alexandra e Judith ricavare da vivere da quel lavoro. In tournée a Vienna, Salonicco, a Il Cairo sono le Sunday Sisters.

Quando i nazisti invaderanno l’Olanda il 10 maggio del 1940, gli ebrei verranno banditi da tutti gli incarichi pubblici, fino all’arrivo delle persecuzioni. Della famiglia De Leeuwe in diversi saranno internati, moriranno, spariranno. Famiglia decimata.

Dopo la perdita del padre, Alexandra, Judith e la madre arrivano in Italia che è il 1935. Il duo acrobatico si esibisce in locali notturni un po’ in tutta la penisola. Poi il maestro Carlo Prato, direttore artistico dell’Eiar, si accorgerà di loro. È un esperto scopritore di talenti ed è alla ricerca di voci femminili che possano emulare il trio americano Boswell Sisters, qui in Cheek to Cheek.

Così, verrà ingaggiata la terza sorella che raggiunge le altre a Torino, sede dell’Eiar, e tutte insieme inizieranno un duro tirocinio.

Le sorelle devono imparare a cantare, armonizzare le voci, devono adattarsi allo stile della canzone italiana, e per questo verranno mandate a Napoli, devono studiare la lingua. Dovranno cambiare i loro nomi: ora sono Alessandra, Giuditta e Caterinetta. Leschan diventa Lescano. E questo va di pari passo con le intenzioni del regime che, con una circolare del Partito Nazionale Fascista del 1924, chiariva che nomi e testi stranieri da quel momento dovevano sempre essere tradotti.

“Allora avere un disco estero era impossibile. C’era la chiusura totale – racconta la cantante-attrice Isa Bellini –. Io possedevo un disco di Louis Armstrong e uno di Ella Fitzgerald, ma si trattava di due dischi clandestini” [Eschenazi, Le regine dello swing, p. 31].

Così, quello stile lo si imita, lo swing lo si traduce in un mix di suoni italiani e ritmi americani. E le orchestre di Angelini e Barzizza lo diffondono tramite le radio. Nato in America negli anni Venti lo swing si caratterizza per il tipico stile saltellante o dondolante della sezione ritmica. Grazie anche a questa maggiore frenesia nei brani la musica leggera trova una sua strada via etere, quella prima percorsa dall’opera e dalla musica classica.

La musica leggera è ancora una semisconosciuta quando si cominciano a pubblicare i programmi radio sul Radiocorriere nel 1925. Perché ci vuole un po’ di tempo a che nasca un mercato degli apparecchi, dei dischi e dei giradischi. Ci vorranno prezzi popolari, la diffusione delle radio nei luoghi pubblici, nei bar, nei ristoranti. Allora sì, che il numero degli ascoltatori non smetterà più di aumentare.

Ed è qui, tra le onde radiofoniche che si materializza la voce del Trio Lescano. Cominciano a incidere dischi con la Cetra-Parlophon e cantano. Cantano il coro di Non dimenticar le mie parole sulla voce di Emilio Livi:

Non dimenticar le mie parole,/bimba t’amo tanto, da morir,/tu per me sei forse più del sole,/non mi fare mai soffrir.

Sempre con Emilio Livi cantano un’altra canzone d’ammaliamento amoroso, Fascino slow:

Chi t’affascina?/Chi di noi sa destarti nel cuore/la febbre d’amor? /Chi tu ammiri?

Chi più sospiri?/Chi t’affascina/è la donna morbosa e fatale/che sa fare al cuor tanto male.

Sulle stesse corde è Tu che mi fai piangere

e poi Tornerai, composta da Rastelli e Olivieri, dove le Lescano cantano accompagnate dal Quartetto Jazz Funaro, gruppo vocale e strumentale.

Infine il fortunatissimo Ma le gambe, interpretata da Enzo Aita con l’arrangiamento orchestrale di Pippo Barzizza, una canzone che inneggia alla donna tutta, nella sua fisicità:

Saran belli gli occhi neri saran belli gli occhi blu/ma le gambe, ma le gambe, a me piacciono di più.

Saran belli gli occhi azzurri e i nasini un po’ all’insù/ma le gambe, ma le gambe, sono belle ancor di più.

Le Lescano cantano con voci perfettamente intonate, perfettamente armonizzate, cantano in un coro che è una voce sola, richiestissime dai solisti che vogliono impreziosire i loro ritornelli.

“Avevano una volontà veramente di ferro inconoscibile per noi – spiega il direttore d’orchestra Cinico Angelini –. Leggendo un refrein si autoarmonizzavano automaticamente. Una cosa sbalorditiva da ogni punto di vista, specialmente dal punto di vista musicale” [Forlani, Le leggi razziali colpiscono anche il Trio Lescano].

Il regime ascolta le meraviglie sonore del Trio e soprattutto osserva le potenzialità del nuovo strumento, la radio, valutandone pregi e difetti. Poi ne sfrutterà le opportunità, intervenendo su modalità e contenuti.

I tempi stanno per cambiare. Nell’anno in cui si gioca sulla bellezza femminile di Ma le gambe vengono promulgate le leggi razziali.

L’articolo 1 di una successiva legge emessa nel 1942, che deriva da quelle razziali del 1938, condanna i cittadini di razza ebraica al divieto verso qualsiasi attività di carattere artistico.

Musica, teatro, danza, spettacolo cadono sotto il rigido controllo del Minculpop: addio ai brani di compositori ebrei, guai alla diffusione di musica proveniente dall’America, soprattutto lo swing e il jazz. Meglio favorire le tradizioni musicali italiane: “C’è da dare lavoro ai musicisti locali – spiega Gabriele Eschenazi in Le regine dello swing – e aiutare lo sviluppo dell’industria discografica italiana. All’Autarchia è associata un’avversione per l’Occidente e naturalmente per gli ebrei”.

Da questo momento artisti, operatori culturali, direttori artistici, maestranze, del cinema, del teatro, della musica, se dipendenti stabili di enti subiranno un licenziamento di massa.

Tutti, tranne le sorelle Lescano. È considerato ebreo colui che nasce da entrambe i genitori di razza ebraica. Le Lescano sono ebree solo per parte di madre. Verranno dunque dichiarate di razza ariana e inserite nella categoria “misti non ebrei”. Il loro albero genealogico verrà esaminato attentamente davanti a giudici e commissari incaricati di valutare origini e di attribuire status. Questa soluzione eviterà alle Lescano le peggiori persecuzioni, cui saranno soggetti, invece, e da subito, altri artisti.

Ma vale per poco, perché poi la censura si abbatterà come una mannaia anche su di loro, a scandagliare parole e sottintesi, a ricercare significati nascosti, a vedere dietro ogni frase messaggi da decifrare.

Maramao perché sei morto, per esempio, una canzone del 1939 scritta da Mario Panzeri e Mario Consiglio, cantata con Maria Jottini e dedicata a un gatto, verrà ritenuta antiregime con l’accusa di deridere Costanzo Ciano, padre di Galeazzo e genero di Mussolini, nonché presidente della Camera dei Fasci. Il motivo che rese la canzone incriminata viene da due studenti livornesi che avevano sistemato sotto il monumento dedicato alla memoria del suddetto un cartello che riportava le prime battute della canzone: Maramao perché sei morto, pan e vin non ti bastava, l’insalata era nell’orto e una casa avevi tu…Uno sberleffo non da poco. Ma si dimostrò che in realtà la canzone era stata scritta prima della morte di Ciano, così la causa venne abbandonata. Ciò non bastò a evitare il serpeggiare di sospetti e diffidenze nei confronti delle sorelle.

Poco dopo, infatti, nel 1940, del Trio Lescano al regime non piacerà la canzone Pippo non lo sa (parole di Panzeri Rastelli, musiche di Kramer con la voce di Silvana Fioresi). La questione da risolvere era chi fosse questo Pippo che faceva divertire tutta la città al suo passaggio. La censura lo identificava con Achille Starace, capo di stato maggiore della milizia, che era solito sfilare mostrando orgogliosamente la sua divisa nera. La diffusione della canzone via radio verrà immediatamente bloccata.

Sopra il cappotto porta la giacca /e sopra il gilè la camicia.

Sopra le scarpe porta le calze,/non ha un botton /e con le stringhe tien su i calzon.

Ma Pippo, Pippo non lo sa /e serio, serio se ne va per la città,/si crede bello/come un Apollo/e saltella come un pollo.

Impetuosamente, la canta anche Morgan in live del 2010.

Dietro le parole delle canzonette potevano nascondersi inganni e trappole, sotterfugi costruiti ad arte dagli autori.

Fin qui la censura. Poi arriverà anche la persecuzione. Prima contro la madre, a cui non venne concesso lo status di ariana a differenza delle figlie. Lei, nata da genitori ebrei. E anche le sorelle dovranno dimostrare di essere di buona condotta per potersi forgiare della condizione di cittadine italiane. Ottenere quel certificato costerà un monte di denari. E di debiti.

Però, intanto, si poteva continuare a lavorare, a incidere dischi e a cantare. Oi Marì, oi Marì, per esempio, canzone napoletana reinterpretata dal trio:

inserita all’interno della trasmissione Dal grammofono al microsolco, dedicata alla sorelle Lescano.

E poi la spensierata Camminando sotto la pioggia

e la strafamosa Ciribiribin, scritta nel 1898 da Carlo Tiochet per il testo e da Alberto Pestalozza per la musica, edita dalle edizioni musicali Carisch, lanciata dalla soubrette austriaca Mitzi Kirchner:

Ciribiribin che bel faccin, / che sguardo dolce ed assassin, / ciribiribin, che bel nasin, / che bel dentin, che bel bocchin!

Brano che fa il giro del mondo, la canta Claudio Villa in duetto con una voce di soprano,

la canta Frank Sinatra,

la suona perfino Glenn Miller

Brano tipicamente swing è C’è un’orchestra sincopata, suonato con l’accompagnamento della grande Orchestra di Pippo Barzizza,

più blues è Le tristezze di San Luigi, tratto infatti dal Saint Louis Blues, tradizionale blues e jazz americano del 1914,

fino alla più malinconia Come l’ombra:

Ombra che stanca/t’allontani da me,/nella vita cos’è/che ti manca?/Forse/tu vai cercando l’amor/che questo cuor/ non ti sa dar?

Sono gli anni 1941-’42, il pieno successo.

Con l’8 settembre la situazione precipita, e nessun certificato o tassa basterà più. Al teatro Grattacielo di Genova una loro esibizione sarebbe stata interrotta dalla milizia che avrebbe proceduto nei loro confronti con l’arresto. Accusa: spionaggio. La canzone Tulipan nascondeva messaggi segreti, inviati al nemico americano. Ma anche, più realisticamente, l’origine ebrea delle ragazze infastidiva. Le certezze su questo arresto, però, non vi sono, tanto che potrebbe trattarsi, invece, di una semplice convocazione al commissariato per rispondere di certi sospetti di ‘fronda’ derivati probabilmente dai testi rivisitati di alcune loro canzoni. Ma di fatto, o qualcuno si mosse per loro, oppure saranno loro a pagare un forte riscatto per tirarsi fuori dalla spinosa situazione, ciò che è certo è che, dopo quell’esperienza, delle sorelle Lescano non si saprà più nulla per diverso tempo. Scomparse o messe al sicuro. Si perderanno le tracce di queste tre giovani che avevano incantato folle di uomini e donne, distraendoli dalle inquietudini del momento con l’invito a danzare sui ritornelli delle loro canzoni. Scenderà il buio su questa storia, come sull’Italia, trafitta e bombardata, divisa e distrutta.

Della madre si sa che per un certo tempo troverà rifugio a Valperga, una piccola città del Canavese. Ad aiutare le sorelle in questa impresa è Annetta Boetto, una signora che a Torino si occupa delle faccende domestiche nell’abitazione delle sorelle in via Artisti. Su Torino scendono le bombe, bersaglio delle incursioni aeree alleate: l’11 e il 12 giugno 1940 provocano un gran numero di morti. Domestiche “salvavita” vengono chiamate: le persone di servizio erano tra le poche a vivere fianco a fianco con famiglie ebree: “la percezione negativa dell’ebreo – scrive Eschenazi – che la macchina propagandistica di Mussolini stimola negli italiani, molti dei quali non hanno mai visto un ebreo in vita loro, non attecchisce nelle domestiche. Loro hanno visto degli ebrei da vicino, ne hanno conosciuto usi e costumi e sono vaccinate contro i pregiudizi” [Eschenazi, Le regine dello swing, p. 61].

Le tre sorelle si occupano della madre, da Torino si spostano in bicicletta. Ma ogni tanto i nazifascisti le vanno a cercare, la loro immunità, sotto la Repubblica di Salò, non esiste più.

Aiutate da un gruppo di partigiani saranno per un certo tempo a Saint-Vincent, rintanate in una pensioncina. La madre resterà a Gallenca. Solo alla fine della guerra faranno tutte ritorno a Torino.

Perché non riprendere la carriera al più presto, intanto che ancora qualcuno si ricorda di loro? Tornare a cantare nei teatri, nelle sale da ballo. Ma l’impresa si rivelerà impossibile.

Dopo la Liberazione il sistema radiofonico è tutto da rimettere in piedi. E poi, c’è una gran voglia di cambiamento nel mondo della musica. Le Lescano, icone degli anni della guerra, non hanno più nulla da dire agli italiani che la guerra la vogliono dimenticare. La nuova Rai, con sede a Roma, nata dalle macerie dell’Eiar il 26 ottobre 1944, ha nuovi progetti: una politica culturale tutta incentrata sul ritorno della canzone italiana tradizionale, tanto per cominciare:

“L’Eiar trasformata in Rai – scrive Enzo Giannelli – diventa il patrimonio assoluto e indiscusso della Dc che vuole restaurare la canzone italiana e riportarla alla stornellata, al canto gorgheggiato. Molto del ritmo scompare tanto che poi con il Festival di Sanremo nel 1951 avviene proprio la restaurazione della canzone italiana e almeno per un decennio sono soltanto sospiri lacrime e colombe” [Eschenazi, Le regine dello swing, p. 78].

Sormontate da debiti, le Lescano cercheranno in tutti i modi di mantenere almeno all’apparenza lo status di cantanti celebri. Ma questo avrebbe solo accentuato i dissapori.

Caterinetta, la più giovane, tenterà la strada da solista abbandonando il trio. L’impresario Nino Gallizio, fidanzato di Alessandra, approfitterà di queste artiste per intascare denari facili. Organizzerà loro una tournée in Sudamerica. La cantante ventunenne Maria Bia verrà scelta per spacciarsi da Caterinetta. Nessuno si accorgerà di questo scambio. Là in Sudamerica sono ancora il Trio Lescano, le dive di un tempo. Adorate e stimate. Cantano repertori adattati ai gusti locali, viaggiano tantissimo, imparano nuove canzoni. Argentina, Uruguay, Bolivia, Venezuela. Per gli italiani d’America la musica da ascoltare è quella del Trio Lescano.

Ma la serenità dura poco, covano nuove tensioni che sciolgono definitivamente anche questo trio posticcio. Ognuna va per la sua strada là in Sudamerica, che non contempla più nemmeno quella dell’arte: chi si impiega come commessa, chi a gestire un bar. Insomma, l’imperativo è: arrangiarsi.

Solo più tardi Sandra tornerà in Italia, a Salsomaggiore. Per tutte, da allora, vita più che riservata. Del resto, chi più si è ricordato del Trio Lescano? Chi erano state, quali le loro canzoni, quale storia? Una tra quelle forse più inquietanti che si ricordi, precorritrice di altrettante storie finite male dei giorni nostri o del recente passato. Figlie di un’idea dell’arte come prodotto da consumare alla svelta finché serve, finché qualcuno ne possa sfruttare i vantaggi. E poi gettate, dimenticate, sputate, come noccioli di ciliegie.

Eppure loro, in questo sogno e nell’Italia avevano riposto le migliori speranze:

Addio mulini a vento non vi vedremo più. Un dì vi abbiam lasciati per questo cielo blu. È un cielo che ci ammalia e che ci fa sognar. Il cielo dell’Italia che sa farci cantar. Addio, Tulipan.

Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli