Ci giunge una mail da Ivan, quattordici anni, che chiede al partigiano, che nei giorni scorsi ha parlato nella sua scuola. Ma non interroga solo lui, bensì – diciamolo – tutti noi. Pubblichiamo le parole di Ivan proprio oggi, 25 aprile 2018, perché sappiamo che gli è dovuta una risposta. E quindi forse, perché domina una forma strisciante e velenosa di infelicità sociale.
Lasciamo ai prossimi numeri di questo periodico la pubblicazione delle risposte e delle considerazioni. Intanto facciamo sua la passione della domanda e cominciamo noi stessi a interrogarci, sapendo che l’idea dell’antifascismo è per sua natura un’idea che accomuna e che si rinnova in ogni generazione, perché l’antifascismo, proprio perché fondato sulla memoria, parla ai viventi ed alle generazioni future. E noi, Patria Indipendente, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, possiamo essere gli interpreti e i custodi di un antifascismo nuovo che, grazie ai principi e ai valori della Resistenza e di quel 25 aprile, parla a tutti, a cominciare dai quattordicenni. E, prima ancora di parlare, li ascolta.
G.P.
Caro partigiano,
mi chiamo Ivan e ieri ero in classe a sentire il tuo racconto. Non ho fatto domande come gli altri, non mi interessavano i particolari della battaglia che ci dicevi. Una cosa ho capito. Che quando eravate a combattere, che quando è finita la guerra, e anche dopo, le città che avete ricostruito e dove stavate insieme, tutti voi e i vostri figli, tutte le cittadine e i cittadini, era un mondo facile. Vi conoscevate bene, pensavate le stesse cose e quelle da fare. Non c’era niente che disturbava, o se pure c’era, riuscivate a superare tutto insieme, eravate partigiani sempre. Era un’Italia felice, come spiegarti, chiara.
Io volevo chiederti: ma dopo cos’è successo? Perché siamo arrivati a oggi che tutti, se si parlano, è solo per litigare, che i politici non vedono le cose che ci mancano davvero, che quello stare insieme di ieri, oggi te lo devi andare a leggere e basta? Che i miei amici quando gli chiedi: quello lì che cammina e bastona le persone senza casa, cibo, vita, perché lo fa? E perché non ci viene in mente di andargli a dire qualcosa? O anche di capire, che lo so è più difficile.
Ti rispondono: “ma che te frega, senti un po’ hai mandato il whatsapp al gruppo per la festa di Ninni?”. Perché mi sento così? Tu mi racconti la battaglia e io non capisco cosa posso portarmi a casa delle tue parole, cosa posso fare per potermi svegliare e pensare qualcosa di chiaro che fa stare insieme, essere insieme, e farlo pensare ai miei amici. Cos’è successo? Perché a un certo punto il vostro mondo si è rotto?
Questo volevo chiederti e scusami se non ti chiedo, neanche adesso, della battaglia di quel giorno del 1944.
Pubblicato martedì 24 Aprile 2018
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