(foto V. Giunta)

Siamo entrati forti e uniti al Palacongressi di Riccione. Ne siamo usciti ancora più forti e ancora più uniti. Questa è una verità sull’andamento e sull’esito del 17° congresso nazionale dell’Anpi. Ma non è tutto: il congresso ha dato al Paese, in questo terribile momento, una lezione di democrazia. Non parlo soltanto dei 125 interventi che si sono succeduti affrontando con competenza e passione il vastissimo arco di argomenti all’ordine del giorno. Parlo anche di un congresso in cui, a pari dignità, hanno parlato personalità del mondo della cultura, della politica, dell’associazionismo, graditissimi ospiti che si sono confrontati su vari temi, a cominciare ovviamente dal conflitto in corso, senza il veleno, l’odio e gli anatemi di cui è disgraziatamente costellato il panorama giornalistico di queste settimane. In un Paese in apnea, spesso diviso sul che fare davanti al tabù della guerra, e in difficoltà per una crisi economico sociale che tenderà prossimamente al peggioramento, il congresso è stato un respiro libero e pulito, un teatro dove le idee si sono confrontate con rispetto e civiltà.

Sì, è stato un congresso con effetti speciali; e gli effetti speciali sono stati le delegate e i delegati che hanno rappresentato un’associazione che ha raggiunto nel 2021 i 135mila iscritti e raccoglie oramai un arco di generazioni che comprende nonne e nonni, i padri e le madri, figlie e figli. Il tema centrale è stato inevitabilmente quello dell’invasione russa con tutto ciò che ne consegue. Eppure, nonostante questa emergenza che determinerà conseguenze incalcolabili da tutti i punti di vista, si sono discussi e approfonditi tutti i temi salienti all’ordine del giorno di un dibattito iniziato oramai da quasi un anno nell’associazione.

Dalla fondamentale questione di genere al lavoro e i diritti sociali, dai temi del riscaldamento globale alla condizione giovanile, dai problemi istituzionali a cominciare dall’autonomia differenziata alla nuova questione meridionale, dallo jus soli ai diritti del mondo LGBT+, dalla formazione antifascista e costituzionale alla funzione democratica del servizio civile, a cento altri aspetti del dibattito pubblico, si è squadernato un caleidoscopio di riflessioni e, diciamolo, di emozioni che hanno raggiunto i punti più alti quando si è parlato di Resistenza ieri e di Resistenza oggi e quando, in particolare, sono intervenuti i protagonisti di quella stagione come la partigiana Mirella Alloisio e il partigiano Aldo Tortorella.

Il termometro del sentimento ha raggiunto temperature alte in particolari circostanze, quando – per esempio – sono intervenuti Patrick Zaki, Liliana Segre, José Alberto Mujica. L’intervento del cardinale Matteo Maria Zuppi ha chiuso il cerchio di una connessione intellettuale e sentimentale con larghissima parte del mondo cattolico rivelando virtuose assonanze di valore fra il dibattito congressuale e le encicliche “Laudato si’” e “Fratelli tutti”, nel sottofondo condiviso delle parole di pace e di fratellanza di Papa Bergoglio.

Su queste basi opererà l’Anpi per i prossimi 5 anni e con un immediato appuntamento, sempre tradizionale e sempre nuovo: il 25 aprile. Un appuntamento che mai come quest’anno sarà dedicato alla pace. Nella spessa e buia nebbia che ci circonda non sappiamo a che punto è la notte. Ma possiamo comunque camminare distinguendo, perché ci fa strada la bussola della Costituzione.

A nessuno è sfuggito lo stridente contrasto fra gli esiti straordinari del congresso e la rappresentazione oscena che ne è stata proposta su alcuni giornali, a conferma di un crescente clima di odio e di intolleranza nel quale la prima vittima è la verità. Tutti hanno notato quante volte l’informazione sia trascesa in deformazione e diffamazione. Evidentemente a qualcuno fa paura la forza tranquilla dell’Anpi, la sua capacità di dialogo e di persuasione con l’intera società italiana. Per ciò che ci riguarda, francamente non ci fa né caldo né freddo, continuando a pensare che alle critiche si risponde con un civile e costruttivo confronto; ma se si tratta di insulti non rimane che rammentare, facendosi forti di un’antica saggezza popolare, le parole di un antico proverbio: raglio d’asino non sale al cielo.