Luigi Manconi, senatore del PD, già sottosegretario alla Giustizia nel secondo governo Prodi, è da tempo impegnato sul tema della difesa dei diritti.
Presidente Manconi, la Corte dei conti di appello ha ulteriormente ridotto la cifra che i quattro poliziotti condannati per l’omicidio di Federico Aldrovandi dovranno versare al Ministero dell’Interno. Qual è la sua opinione?
Lo Stato ha risarcito la famiglia, per me tutto il resto non costituisce motivo di scandalo. Non sono informato sulla vicenda dei risarcimenti che i poliziotti dovranno versare allo Stato e non ne sono interessato. Sono stati condannati in via definitiva e non ritengo che vada loro chiesto altro. Hanno commesso reati efferati e terribili mentre erano in servizio, ma le tali e tante responsabilità del Corpo di pubblica sicurezza non possono ricadere semplicemente su quattro agenti. È eccessivo e, soprattutto, scarsamente interessante per la giustizia. Un tribunale, una Corte di appello e la Corte di Cassazione hanno stabilito che queste persone erano responsabili della morte di un ragazzo di 18 anni che stava solo tornando a casa. Dal mio punto di vista, la questione si è chiusa.
La condanna a tre anni e sei mesi per l’omicidio di un ragazzo non è troppo mite?
Ovvio che la morte di un ragazzo di 18 anni dovrebbe comportare le pene dell’inferno ma non sono dio. Federico era un ragazzo intelligente e brillante, anch’io ho dei figli. Una madre e un padre hanno avuto il dolore più grande che si possa immaginare. Un tribunale ha sancito la colpevolezza dei poliziotti. In termini di giustizia terrena e anche in termini etico-simbolici è stata una sentenza importantissima. Per una volta, almeno una volta, la giustizia ha operato bene.
I poliziotti hanno scontato solo sei mesi di carcere…
I genitori di Federico Aldrovandi non hanno mai chiesto condanne esemplari, non hanno mai definito incongrua l’entità della pena, perché neppure questo aspetto aveva a che fare con la giustizia. Dell’indulto di cui hanno usufruito i poliziotti sono politicamente responsabile, e ne resto fiero, essendo tra i pochi che hanno lavorato per farlo ottenere. Ribadisco, l’importanza della condanna non risiedeva affatto in quanti anni passassero in cella i poliziotti. E questo è stato anche il pensiero della famiglia Aldrovandi.
E sul fatto che siano restati in servizio qual è il suo pensiero?
È stato l’unico punto di dissenso tra me e i familiari in tanti anni di lavoro comune. Ho ritenuto che i poliziotti non dovessero più avere compiti di ordine pubblico, ovviamente. I poliziotti ora lavorano in ufficio. I genitori di Federico, invece, ne volevano la destituzione dal Corpo.
Non meritavano il licenziamento?
È una posizione estremamente personale: non ho mai licenziato nessuno. La destituzione non è avvenuta perché l’amministrazione della disciplina interna è così male organizzata che il ritiro definitivo dal Corpo era troppo complicato, la Polizia ha così deciso di non percorrere una strada troppo accidentata. D’altra parte i provvedimenti amministrativi e disciplinari all’interno del Corpo di polizia sono regolati con criteri assolutamente insufficienti e largamente affidati ad appartenenti allo stesso Corpo.
L’ulteriore ultima riduzione dei risarcimenti dovuti allo Stato ha indignato molti…
Non credo che i poliziotti abbiano redditi che consentano loro di rimborsare quanto lo Stato ha versato alla famiglia Aldrovandi. Credo di avere una posizione largamente minoritaria, non voglio vendette. Anche nel caso di Stefano Cucchi la famiglia ha avuto un risarcimento. Non capisco perché in Italia ci si debba vergognare di questo. È profondamente sbagliato: i risarcimenti esistono e vanno applicati.
Il caso di Federico Aldrovandi sollevò il tema dell’assenza del reato di tortura nel nostro Paese, reato che ancora non c’è…
Questa, purtroppo, è tutta un’altra storia.
Pubblicato venerdì 17 Febbraio 2017
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