L’epicentro della violenza fu l’altopiano roccioso intorno al Monte Sole, che si eleva alle spalle di Marzabotto, tra la valle del fiume Setta e quella del fiume Reno. In quelle zone vi erano insediamenti, dove civili e partigiani convivevano a poca distanza fra loro, e a volte a stretto contatto.
In quella zona operava la brigata partigiana Stella Rossa, che contava al massimo 500 uomini. Era comandata da un ex sottoufficiale dell’esercito, Mario Musolesi, detto “Lupo”. Le atroci violenze riguardarono i territori di Marzabotto, Monzuno, e Grizzana Morandi (tutti in provincia di Bologna); tuttavia per l’elevato numero di morti nel primo di questi tre comuni, viene spesso usato il termine di “Strage di Marzabotto”.
La decisione di ripulire la zona dalla brigata partigiana venne presa dal feldmaresciallo Albert Kesselring, capo delle forze di occupazione tedesche in Italia, e a guidare l’eccidio fu il maggiore Walter Reder, comandante del 16° battaglione Panzer Aufklärung Abteilung della 16° Panzer Granadier Division “Reichs Führer SS”. Ma l’appoggio arrivò anche da altre divisioni della Wehrmacht e delle SS, senza dimenticare il fondamentale apporto dei fascisti italiani con funzioni di guide e informatori.
L’operazione cominciò all’alba del 29 settembre 1944 e durò fino al 5 ottobre 1944. Tra i tedeschi morì un comandante di plotone e tre soldati, mentre otto soldati riportarono ferite gravi e altri otto ferite leggere. Questi morti e feriti sono le uniche documentabili accusate dai tedeschi durante l’intera operazione intorno a Monte Sole. Il comandante partigiano “Lupo” morì il primo giorno delle operazioni, ma la brigata partigiana riuscì a organizzarsi limitando le perdite, mentre a pagare il prezzo più alto della violenza nazista furono i civili. All’interno della guerra totale da Hitle e Mussolini quanto avvenuto in quei sette giorni, può essere definito l’emblema, nell’Europa occidentale, della guerra ai civili.
Marzabotto è diventato un simbolo della guerra di annientamento. I civili furono uccisi in vari luoghi diversi, chi sul posto, chi in improvvisati luoghi di raccolta (in particolare il cimitero di Casaglia). Vennero uccisi in vari modi: con un colpo di pistola, una raffica di mitra, il lancio di una granata anche incendiaria, o dall’incendio della propria abitazione. I tedeschi attuarono una violenza atroce: anziani decapitati, donne stuprate e poi uccise, bambini gettati vivi tra le fiamme. Non mancò neanche la requisizione degli oggetti di valore alla popolazione civile, prima che venisse uccisa. Oggi viene ritenuto che le morti di quest’eccidio siano state circa 770.
I tedeschi gettavano i corpi privi di vita in fosse comuni, anche se in vari punti cadaveri o parti di essi vennero lasciati insepolti. A Cadotto, uno dei luoghi della strage, alcuni soldati sudafricani rinvennero “circa 17 civili morti, tra cui donne e bambini, con ogni evidenza vittime di atrocità”. La vittima più giovane dell’intera strage di Marzabotto, fu Valter Cardi, un neonato di soli quattordici giorni. Nella città di Cuneo, a centinaia di chilometri di distanza da Monte sole, c’è un testamento in marmo, dettato dal defunto professor Piero Calamandrei (già rettore dell’Università di Firenze e fondatore della rivista Il Ponte), indirizzato al feldmaresciallo Albert Kesselring, dove si legge:
«Lo avrai camerata Kesselring il monumento che pretendi da noi italiani ma con che pietra si costruirà a deciderlo tocca a noi. Non coi sassi affumicati dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio non colla terra dei cimiteri dove i nostri compagni giovinetti riposano in serenità non colla neve inviolata delle montagne che per due inverni ti sfidarono non colla primavera di queste valli che ti videro fuggire. Ma soltanto col silenzio del torturati più duro d’ogni macigno soltanto con la roccia di questo patto giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono per dignità e non per odio decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo. Su queste strade se vorrai tornare ai nostri posti ci ritroverai morti e vivi collo stesso impegno popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre RESISTENZA».
Il feldmaresciallo Albert Kesselring, catturato dagli Alleati nel maggio 1945, venne processato da questi nel 1947, e condannato a morte per crimini di guerra tra cui la strage delle Fosse Ardeatine e di Monte Sole. La condanna fu però commutata nel carcere a vita. Nel 1952 Kesselring fu scarcerato ricevendo la grazia. Tale misura fu giustificata dal peggioramento delle sue condizioni di salute. Tuttavia dopo il suo rientro nella Repubblica Federale di Germania, egli dichiarò che gli italiani avrebbero dovuto dedicargli un monumento per come aveva salvaguardato le città d’arte. Da tale dichiarazione nacque la risposta del professor Piero Calamandrei, sopracitata.
Nel 1951, il maggiore Walther Reder per la strage di Monte Sole fu ritenuto colpevole, e condannato all’ergastolo da scontare al carcere militare di Gaeta. Il 30 aprile 1967 da Gaeta, il maggiore delle SS, scrisse una lettera al sindaco di Marzabotto, l’onorevole Giovanni Bottonelli, dove esprimendo il proprio rimorso, per i fatti commessi, chiedeva misericordia e perdono, quindi la grazia.
A seguito di questa lettera, domenica 16 luglio 1967, su invito del sindaco, 288 superstiti del Monte Sole, alcuni assistiti da altri e uno sulla seggiola a rotelle, si recarono al piccolo cinema Moderno, per votare riguardo la grazia. Dei votanti: 282 votarono contro il perdono, 4 per il perdono, mentre una scheda risultò bianca e un’altra fu annullata. Tuttavia alcune centinaia di sopravvissuti al massacro non si fecero neppure vedere. Diversi anni dopo, con la legge regionale n. 47 del 20 ottobre 1982 fu nominato il Comitato regionale per le onoranze ai caduti di Marzabotto. Nel 1985, Reder fu rilasciato dal carcere, e tornò in Austria dove morì a Vienna nel 1991.
Nel 1994 venne ritrovato un armadio rovesciato contro una parete nella sede romana del Consiglio della Magistratura Militare, nello sgabuzzino della cancelleria della procura militare, con ben 695 dossier e 2.274 notizie di reato. Si trattò di un colossale insabbiamento avvenuto negli anni cinquanta di numerosi crimini di guerra compiuti sul territorio italiano nel periodo 1943-1945 dalle truppe nazifasciste. Tale scoperta fu definita l’Armadio Della Vergogna. Il processo per la strage di Monte Sole si aprì l’8 febbraio 2006, e dopo 23 udienze dibattimentali e una requisitoria di sette ore e mezzo fatta dal procuratore militare di La Spezia, Marco De Paolis, il 13 gennaio 2007, il tribunale militare di La Spezia presieduto dal dottor Vincenzo Santoro dichiarò colpevoli, condannandoli all’ergastolo, dieci ex SS. Purtroppo però, nessuna delle persone condannate è mai stata estradata o ha scontato in carcere la pena, né i sopravvissuti e i familiari delle vittime sono stati risarciti.
Il 16 aprile 2002 il Presidente della Repubblica tedesca Johannes Rau – accompagnato dal Presidente italiano Carlo Azeglio Ciampi – si è recato a Marzabotto e ha chiesto scusa in nome del popolo tedesco. In tale occasione Rau chiese scusa alle vittime e ai loro famigliari, presenti numerosi all’evento.
Dopo 22 anni, domenica 29 settembre 2024, in occasione della Cerimonia di Commemorazione in ricordo delle vittime civili del nazifascismo a Marzabotto-Monte Sole, per celebrare l’80°anniversario, sono attesi i presidenti della Repubblica italiana e tedesca, Sergio Mattarella e Frank-Walter Steinmeier.
Andrea Vitello, storico e scrittore, autore tra gli altri di “Il nazista che salvò gli ebrei. Storie di coraggio e solidarietà in Danimarca”, pubblicato da Le Lettere con prefazione di Moni Ovadia
Fonti utilizzate per l’articolo
C. Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia (1943-1945), Einaudi editore, Torino 2022; J. Olsen, Silenzio sul Monte Sole. La prima cronaca completa della strage di Marzabotto, Edizioni Res Gestae, Milano 2017; M. De Paolis, Caccia ai nazisti. Marzabotto, Sant’Anna e le stragi naziste in Italia: la storia del procuratore che ha portato i colpevoli alla sbarra, Rizzoli editore, Milano 2023.
Pubblicato venerdì 27 Settembre 2024
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