A cento anni dall’assassinio dell’antifascista, come opportunamente commemorarne la figura? Matteotti, in numerosi scritti e interventi parlamentari aveva denunciato le malefatte del fascismo, sin dagli esordi. Nel marzo 1921, alla Camera dei Deputati, aveva riportato quanto accaduto nel Polesine, suo territorio d’origine: il patto tra notabili agrari e camice nere, le aggressioni nella notte ai contadini socialisti e ai capi leghe di braccianti, le case circondate da uomini armati e incendiate, le minacce, le umiliazioni e gli omicidi. “Non è più lotta politica, è barbarie”, aveva dichiarato.

Tra il Polesine di Matteotti e l’area iblea degli anni Venti le analogie possono risultare notevoli. La violenza politica nel 1921 sconvolge tutti i Comuni del Ragusano. In quei mesi, di fronte a un quadro economico e sociale drammatico, le richieste di giustizia sociale delle forti organizzazioni bracciantili e operaie e delle leghe cooperative si sono diffuse in tutto l’altopiano ibleo. Il movimento socialista raccoglie consensi e istanze di rivolta, vincendo le elezioni dell’autunno 1920 in otto Comuni su tredici. Gli agrari e i notabili, di fronte al timore, fondato, della perdita di potere e privilegi, scatenano la repressione, armando e finanziando squadre di mafiosi, nazionalisti, ex combattenti e fascisti.

Vittoria, Piazza del Popolo

A Vittoria, roccaforte socialista, il 29 gennaio 1921 nella piazza principale, un commando armato provoca scontri di piazza ed esplode diversi colpi di armi da fuoco. Giuseppe Campagna, consigliere comunale della maggioranza socialista, muore durante la notte per le ferite riportate. A Ragusa, il 9 aprile, muoiono in tre in un assalto organizzato per impedire il comizio del deputato socialista Vacirca; a Modica, il 29 maggio, in un agguato a un corteo di protesta dei braccianti, gli spari colgono sei vittime e provocano centinaia di feriti. Lo schema si ripete ovunque, in Italia e nel Ragusano: provocazioni, agguati, scontri di piazza e, nel caos, l’esplosione della violenza nera, armi in pugno a reduci di guerra e fascisti, omicidi politici, assalti e incendi a sedi sindacali e partitiche, infine i Municipi. Prima dell’estate 1921, tutte le giunte democratiche erano state deposte, tutti i sindaci sostituiti da commissari prefettizi.

Archivio fotografico Anpi nazionale

Alle successive elezioni del gennaio 1924, a Vittoria, socialisti e comunisti non possono presentare proprie liste e candidati, per il clima di terrore e di oppressione vigente in città. Il Consiglio eletto è composto solo da 22 fascisti e 18 ex combattenti. Sono costoro a deliberare il 21 maggio 1924 la concessione della cittadinanza onoraria di Vittoria a Benito Mussolini. Il commissario prefettizio dell’epoca, Salvatore Ricca, nella delibera motiva la concessione dell’onorificenza: «La nostra Città, prima in Sicilia, per ben tre volte cozzò con le armi in pugno contro la pervicacia rossa allora imperante, abbattendola e disperdendola, magnifico esempio di intrepidezza, che rimira in un solo ed ardimentoso manipolo i reduci della trincea e gli uomini di tutte le gradazioni dei partiti d’ordine, quasi a dimostrare la possibilità della realizzazione del vasto piano d’azione di Benito Mussolini, il quale sotto l’insegna del fascio littorio, andava raccogliendo la più bella gioventù italica che il 28 ottobre 1922 sfilava baldanzosa per le vie di Roma al canto di “Giovinezza”». Retorica precedente la ben più famosa espressa dallo stesso Mussolini in Parlamento sei mesi dopo l’omicidio di Matteotti, il 3 gennaio 1925, quando, liberandosi di ogni velleitaria accusa e assumendosi la piena responsabilità politica morale e storica – ma non giudiziaria – dell’omicidio, comparerà “la superba passione della gioventù italiana” alla “associazione a delinquere”.

La delibera che il 21 maggio 1924 conferì a Mussolini la cittadinanza onoraria di Vittoria

A cento anni di distanza, in occasione delle celebrazioni del 25 aprile, il circolo Anpi di Vittoria, “Orazio Sortino”, ha richiesto all’Amministrazione comunale la revoca del provvedimento di conferimento della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini. Tale revoca, promossa dall’assessore alla Cultura, Paolo Monello, è stata votata unanimemente lo scorso 5 giugno dalla Giunta comunale di Vittoria, guidata dal sindaco Francesco Aiello. E il 10 giugno 2024, nel centenario dell’omicidio di Giacomo Matteotti, si è tenuta una iniziativa pubblica per condividere la revoca con tutta la cittadinanza.

Per prendere visione di tutta la delibera di revoca della cittadinanza onoraria conferita a Mussolini nel 1921 clicca qui

Come sarebbe stato possibile commemorare onorevolmente il Martire a Vittoria mantenendo ancora il privilegio della cittadinanza onoraria al mandante di quell’assassinio? La pratica della revoca della cittadinanza di Mussolini è stato terreno di scontro politico negli anni scorsi in numerosi Comuni. Pochissimi abolirono le ordinanze alla caduta del regime o nei primi anni repubblicani, come le città di Napoli e Arezzo. Altre giunte, in epoche più recenti, si sono opposte alla revoca, ritenendolo anacronistico e superfluo, in virtù del principio di “non cancellazione della memoria passata”. Mantenere la cittadinanza onoraria esprime invece la continuità, la mancata cesura storica, l’incapacità di voltare pagina. È memoria solo se è viva, se consente di guardare al passato esprimendo valutazioni e giudizi che consentano la formazione di anticorpi democratici per proteggersi dalla virulenza delle dittature e dei regimi.

La diffusione di quanto coraggiosamente denunciato da uomini come Giacomo Matteotti, che hanno pagato con il sangue la propria libertà di parola e pensiero, di quanto accaduto nei primi anni Venti, della formazione criminale del fascismo e dell’uso della violenza politica come pratica per l’assunzione del potere è narrazione storica che permette di cancellare il mito del fascismo capace di fare anche “cose buone” e le cui “colpe esclusive” furono la promulgazione delle leggi razziali e l’alleanza con la Germania nazista di Hitler.

 

È in gioco una importante partita per la formazione del pensiero collettivo e il consolidamento della democrazia. In un presente caratterizzato dalla continuità con quel drammatico passato, dove il primo partito d’Italia mantiene il simbolo della fiamma che arde sulla tomba di Benito Mussolini, il presidente del Senato tiene in casa propria un busto del duce, la presidente del Consiglio non riesce a dichiararsi antifascista (ma solo afascista) e alla Camera dei Deputati si consumano atti di violenza intollerabili, solo la profonda conoscenza del passato e atti pubblici concreti possono permettere la salvaguardia della Costituzione nata dalla Resistenza e della Repubblica italiana.

Andrea Gentile, vicepresidente Anpi provinciale Ragusa