L’insegna della Associazione Acqui
L’insegna della Associazione Acqui

Claudio Toninel è Vice Presidente Nazionale dell’Associazione Nazionale Divisione Acqui. Suo zio era di stanza a Cefalonia nel settembre ’43. Scampò alla strage e venne deportato in un campo di prigionia a Salonicco. Liberato dai partigiani greci, combatté nella Resistenza ellenica. Abbiamo conversato con lui durante gli incontri del 6 dicembre sulla mozione sulle stragi nazifasciste approvata dalla Camera lo stesso giorno.

 

Toninel, cosa rappresenta per l’Associazione Nazionale Divisione Acqui l’approvazione, alla Camera della Deputati, della mozione sulle stragi nazifasciste?

Cefalonia e Corfù furono teatro di un gravissimo crimine di guerra compiuto dall’esercito regolare della Germania, la Wermacht contro l’esercito regolare italiano. Ora si è fatto, finalmente, un primo passo per rendere giustizia alla memoria dei 10mila militari italiani della Divisione Acqui che scegliendo di non combattere al fianco dei tedeschi furono massacrati in massa. E molti altri vennero deportati nei campi di prigionia. Perché non si realizzò una Norimberga italiana? Il fascicolo con i fatti avvenuti nelle isole greche finì invece tra i 695 nascosti nell’Armadio della vergogna. La strage divenne ostaggio della politica internazionale postbellica, ma sollevava anche il problema della responsabilità dei nostri vertici militari e politici. Fino all’armistizio eravamo stati alleati dei tedeschi. Dopo l’8 settembre ‘43, migliaia di soldati semplici, sottoufficiali e ufficiali furono lasciati senza ordini, abbandonati al loro destino. E nel dopoguerra molti appartenenti alle gerarchie militari italiane, anche quanti avevano la coscienza poco pulita, restarono al loro posto. La stessa cosa avvenne in Germania.

Dal punto di vista storico e politico, cosa significa rendere giustizia ai morti e ai deportati di Cefalonia?

L’Associazione Divisione Acqui fa parte della FVL, i militari inquadrati nella Resistenza, perché a Cefalonia i soldati italiani furono i protagonisti del primo atto della Resistenza. Che avvenne all’estero, prima che si organizzasse in territorio nazionale la lotta contro l’occupazione. Eravamo in Grecia perché il regime fascista aveva invaso la terraferma e le isole greche. Noi stessi eravamo stranieri occupanti. 

Il generale Antonio Gandin
Il generale Antonio Gandin

Alla conferenza stampa a Montecitorio quei fatti sono stati rievocati…

L’eccidio di Cefalonia e Corfù dimostra che gli eccidi fecero parte della strategia di guerra tedesca. La grandissima parte dei soldati della Acqui decise di non consegnare le armi e di combattere. Il Comandante della Divisione, il generale Antonio Gandin, aveva chiesto un aiuto aereo, per affrontare la nuova situazione. I rinforzi non arrivarono mai, permettendo ai tedeschi di organizzarsi. Nonostante ciò, i militari italiani non vollero arrendersi alla Wermacht. Ci fu un referendum tra i soldati, ricordiamolo. Fu la stragrande maggioranza a scegliere. Mio zio, Mario Toninel, sopravvissuto alla strage e scomparso nel 2002 lo ha sempre confermato. Era caporale, da scampato alla morte, fu deportato in un campo di prigionia tedesco, a Salonicco. Nel ’44 venne liberato dai partigiani greci, nascosto e curato da una famiglia di partigiani greci e, una volta guarito, tornò a combattere con la Resistenza in terra ellenica. È stato riconosciuto dal nostro Paese “partigiano combattente all’estero”. Era iscritto all’ANPI.

La mozione approvata chiede l’esecuzione da parte della Germania delle condanne comminate dai tribunali militari italiani e azioni concrete di memoria…

Sono venuto a Roma da Verona, dove l’Associazione ha la sede principale, per seguire il dibattito e il voto in Parlamento. L’Associazione Nazionale Divisione Acqui venne fondata subito dopo a fine della guerra. I reduci hanno ricostruito le vicende, sono tornati in Grecia per cercare i poveri resti umani dei loro commilitoni. Da soli, senza sostegno alcuno da parte dei governi italiani. E praticamente da soli abbiamo portato avanti l’azione di memoria. Un encomio solenne del ministero della Difesa ai soldati di Cefalonia ha dovuto attendere il 1993. Mio zio non ha potuto neppure vedere il processo istruito dalla Procura militare italiana contro Alfred Stork per le fucilazioni degli ufficiali italiani alla Casetta Rossa. Tre anni fa è stato condannato all’ergastolo, in contumacia. Con la mozione approvata a Montecitorio si è impegnato il nostro Governo a operare per il rispetto in Germania delle sentenze dei Tribunali militari italiani. Per i condannanti, tutti molto avanti negli anni non chiediamo il carcere ma non accettiamo la totale impunità.

Lo stemma della Divisione Acqui
Lo stemma della Divisione Acqui

Quali iniziative per la memoria realizza l’Associazione Nazionale Divisione Acqui?

Andiamo spesso nelle scuole. Con fatica, per l’avanza età dei sopravvissuti alla strage. A Verona, luogo di origine della gran parte dei militari della Acqui c’è il monumento più importante, dove ogni anno si celebrano le commemorazioni in occasione degli anniversari. Ma soprattutto vogliamo ricostruire la memoria storica dei nostri militari in Grecia. Per cominciare, la Casetta Rossa, che era stata distrutta dai terremoti, è stata ricostruita grazie all’impegno dell’Associazione. Ad Argostoli, a Cefalonia, su un lembo di terra acquistato dal governo italiano, abbiamo eretto un monumento in ricordo dell’eccidio della Acqui. Abbiamo anche un piccolo museo nella via principale della cittadina. Però è difficile mantenerli: le risorse sono esigue. Si limitano alle donazioni dei familiari dei reduci e a uno scarso contributo statale annuale, distribuito dalla FVL. Grazie alla collaborazione col comune di Corfù, abbiamo realizzato un altro monumento e vorremmo aprire un museo pure lì e in altre località della Grecia. Purtroppo siamo in balia della politica locale. A Cefalonia avevamo installato una segnaletica stradale, ma è stata più volte divelta nel corso degli anni: la destra reazionaria ellenica punta a mostrarci alla popolazione come nemici. Noi vorremmo ripristinare i pannelli e tutelarli. Costruire la memoria di Cefalonia nelle località dove avvennero i fatti, tutte molto frequentate da turisti italiani ed europei, è importante per il futuro delle nostre democrazie.