Da http://www.ilponte.com/giovani-buone-notizie/

Ho ascoltato, in differita, la tavola rotonda su “fascismo, antifascismo e giovani” che l’Anpi e Patria Indipendente hanno voluto indire e ospitare e mi sono resa conto che covavo inconsciamente l’illusione che, finalmente, si potesse individuare il problema e formularne la soluzione. Mi sbagliavo e l’errore certo non sta in chi, discutendo, non ha saputo offrire riposte definitive e di pronta applicazione, bensì in chi – come me – ha ceduto alla tentazione della semplificazione: società semplice, problema nitido, correzione immediata. Provo dunque su me stessa il potere che il semplificare, quasi banalizzare la complessità, esercita: è su questo che fanno leva non solo movimenti e partiti di estrema destra, ma anche quelli che si dicono moderati. Spesso il “sistema” contro cui si scagliano alcune forze politiche non è tanto l’iperburocrazia dello Stato o la lontananza dei suoi organi dalle persone, ma la complessità che lo Stato deve e prova a rappresentare e governare. Pare – stando ai risultati delle ultime elezioni – che questa propaganda paghi molto bene.

In realtà l’incontro di cui Patria ha dato conto nel numero precedente e in questo ha affrontato molte questioni e molti sono state anche i suggerimenti e le ipotesi di risposta.

The false mirror, 1928, Rene Magritte. Da https://www.renemagritte.org/the-false-mirror.jsp

I due “veterani” del gruppo, Valerio Strinati e Davide Conti, hanno dato al dibattito un respiro di medio-lungo termine. Un respiro di sollievo, mi viene da dire: finalmente si restituisce equilibrio al tempo, non solo presente ma anche passato e futuro, e una politica che voglia essere all’altezza della situazione deve saper non solo gestire il presente, ma rendere fertile il passato e progettare un futuro in grado di attualizzarsi, di mutarsi in presente. Altrimenti tutto si riduce a sterile reducismo, emergenza del presente e promesse impossibili da mantenere. È davvero ora di vedere nella crisi un’opportunità di trasformazione, la politica deve saper leggere la realtà e offrire proposte affinché i cittadini non temano il cambiamento, ma abbiano coraggio e voglia di esserne protagonisti. Tanto più una politica progressista e di sinistra deve saperlo fare, sennò – al netto degli slogan – non sarà altro che forza conservatrice.

I più giovani, invece, hanno sottolineato l’urgenza di avere un ruolo nell’immediato futuro.

Attenzione: parliamo di ragazze e ragazzi il cui impegno politico e sociale è comprovato da anni di attività e partecipazione, con incarichi anche di quadro, nelle associazioni studentesche; hanno idee e guardano al mondo sapendolo ancora immaginare diverso, migliore.

Sono restata di stucco e amareggiata di fronte alle loro domande: “Cosa farò fuori dall’associazione?”. Non chiedono tanto di avere un lavoro (eppure sappiamo bene quanto bisogno ne abbiano), chiedono di poter continuare a impegnarsi, a profondere le loro energie e il loro tempo per un obiettivo comune. Sono restata delusa con loro e per loro di fronte ad alcune loro esperienze: i partiti e le associazioni di “adulti” con cui quotidianamente hanno avuto modo di confrontarsi non hanno spazio per loro, non li prendono in considerazione. O meglio, li considerano in quanto “giovani” (ha ragione Valerio Strinati: basta con le categorizzazioni!), ma non in quanto cittadini; giovani buoni per essere contati alle assemblee per poter dire che ce n’erano tanti, ma non per contare a loro volta.

Un manifesto dell’artista belga Michel Folon (da http://www.varesenews.it/2013/10/la-poesia-a-colori-di-folon-al-chiostro/49323/)

Aver spostato in là la soglia anagrafica del “giovane”, essere considerati tali (anche per le statistiche) fino a 35 anni consente ai vecchi (perdonate la brutalità lessicale) di non mollare le leve del comando, di trattare da sprovveduti e nati ieri quelli che invece sono – o dovrebbero essere – a tutti gli effetti adulti capaci di decidere di sé e – perché no? – degli altri, impegnandosi nella politica del loro Paese.

Bisogna smettere di contarli e lasciarli contare. Lasciare loro il posto, per non replicare i nefasti effetti della legge Fornero – dopo l’ambito lavorativo – anche in quello politico e sociale. Lasciarli diventare adulti e lasciarli eventualmente sbagliare.

Mi pare che il neofascismo abbia invece sfruttato, nelle sue aggregazioni, il congelamento in eterni giovani. Non tutti, ma la maggior parte degli aderenti a Forza Nuova e CasaPound o degli ultras – almeno quelli che vedo su giornali, tv e social – paiono preda della “giovinezza” anche quando hanno superato i 50 anni: omologati nel look total black di bomber e anfibi, nelle teste rasate anche quando ormai di capelli in testa non ne hanno più, nell’inconfondibile carattere stampatello dei loro striscioni. Il neofascismo, insomma, approfitta forse di questa sindrome di Peter Pan per avere sempre eserciti di militanti obbedienti e invasati, purché si dia loro un branco in cui riconoscersi uguali, anzi: identici. E l’identitarismo – assieme alla violenza – è secondo me la cifra principale dei neofascismi oggi, in Italia e nel mondo.

Un’identità che si ricerca e che si costruisce sempre più in rete: Patria Indipendente ha censito la galassia nera nel web, specie su Facebook, e Margherita Frau ricordava allarmata quanta presa abbiano la violenza e l’hate speech che circolano sui social anche su persone non direttamente militanti nell’estrema destra o su ragazzi che rimangono invischiati nell’ideologia nera all’inizio quasi inconsapevolmente. Il discorso fascista non si può legittimare ospitandolo in tv giornali né salotti, i caporioni neri non si convincono né redimono, ma i giovani e giovanissimi adepti che il neofascismo miete, quelli sì occorre provare a riguadagnarli alla causa democratica. In Germania, per esempio, già da diversi anni esiste il Violence Prevention Network che prova a disinnescare estremismi di varia natura, tra cui quello neonazista, vale la pena farsi un giro sul loro sito.

L’antifascismo ha a che fare con la tolleranza (che così bene l’articolo 3 della nostra Costituzione invera) e la tolleranza, come disse Umberto Eco, è questione di educazione. Non si nasce tolleranti, non si nasce antifascisti: lo si diventa. O venendo messi a dura prova dal suo contrario (penso ai tanti giovani nati sotto le dittature e ad esse quasi istintivamente ribellatisi), o venendo educati ad esserlo. L’educazione necessita di tempo e costanza, ed è bene quindi ricordare con Strinati e Conti la vista lunga che la politica deve avere perché i frutti possano maturare; ma l’educazione necessita anche di fiducia, ed è bene pertanto rispondere subito alle richieste di chi, come Martina e Jacopo, chiede di poterci essere e chiede ascolto, subito: nessuno meglio di loro può veicolare tra i coetanei l’antifascismo che si fa impegno ed esempio.