grande fugaNon c’è dubbio che gli scienziati abbiano sempre avuto una notevole tendenza ad emigrare dalla propria patria ad altre nazioni nelle quali trovano un ambiente più favorevole alle proprie ricerche ed alla propria vita: basti pensare al padre della scienza moderna, Galileo Galilei, che dalla natia Toscana emigrò a Padova (all’epoca un viaggio molto più lungo di quanto sia oggi andare da Roma a New York) per avere una cattedra. In linea di principio, non c’è nulla di strano e anzi queste migrazioni sono un potente mezzo per la diffusione di nuove conoscenze.

opere GalileoA partire dal XX secolo è però capitato più volte che non fosse un singolo scienziato a spostarsi, venendo magari sostituito da un collega che veniva da un altro Paese, ma è stata una larga parte di una comunità scientifica nazionale che ha deciso di emigrare senza che la nazione di origine ricevesse un analogo flusso di ricercatori stranieri in entrata: questo è quanto è avvenuto una prima volta con l’esodo degli scienziati ebrei ed antifascisti dalla Germania e dall’Italia negli anni ’30. Tuttavia, un altro episodio di migrazioni di massa di ricercatori, questa volta dal Regno Unito verso gli USA, si è verificato tra il 1945 ed il 1965, a causa delle difficili condizioni dell’economia inglese in quegli anni: fu in quella occasione che la Royal Society, in un suo studio sugli effetti negativi del fenomeno, lo definì brain drain (“fuga dei cervelli”). Il caso si è poi ripetuto dopo la dissoluzione dell’URSS: gli scienziati, i tecnici specializzati, i medici e altri professionisti che dalla Russia e dagli altri Paesi del disciolto Patto di Varsavia emigrarono in Occidente furono centinaia di migliaia.

Tuttavia, anche a prescindere da questi episodi di emigrazione di massa, dalla seconda metà del XX secolo, la “fuga dei cervelli” dai Paesi dell’Asia, dell’Africa ed anche dai Paesi dell’Europa mediterranea verso le nazioni economicamente più sviluppate, che necessitano di una quantità sempre crescente di ricercatori e tecnici, è stato un flusso continuo.

Da http://www.tremorsrockabilly.com/images/braindrain.gif
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Negli ultimi anni si è però sostenuto da parte degli economisti neo-liberisti che, nella società moderna globalizzata, il concetto di fuga dei cervelli sia ormai superato e che le migrazioni altamente qualificate sarebbero attualmente caratterizzate da moti di scambio, per cui bisognerebbe parlare di “circolazione” e non più di “fuga dei cervelli”. Molti studiosi, invece, ribadiscono la validità del concetto di brain drain, soprattutto se riguarda la migrazione da un Paese meno sviluppato ad uno tecnologicamente più avanzato: in questo caso, il Paese di arrivo ha solo vantaggi, perché può utilizzare personale qualificato senza dovere spendere per formarlo, mentre quello di origine ha solo danni, per la perdita di lavoro produttivo e per la spesa di finanze pubbliche usate per educare i lavoratori che poi si trasferiscono all’estero. È comunque evidente che, per valutare la presenza o meno di “fuga dei cervelli” da un dato Paese, bisogna calcolare il rapporto tra i flussi di emigrazione e immigrazione altamente qualificate.

Non è facile stabilire quale sia attualmente la situazione italiana sotto questo aspetto: infatti non esiste un censimento dei ricercatori (né, più in generale, dei laureati) italiani trasferiti permanentemente all’estero. È però indiscutibile che i flussi di ricercatori italiani verso l’estero sono alti, mentre quelli degli studiosi stranieri verso l’Italia sono bassi. Alcune stime indicano infatti che, se si manterranno i flussi attuali in ingresso ed in uscita, l’Italia perderà circa 30.000 ricercatori entro il 2020, mentre alla stessa data ne entreranno, o rientreranno, nel nostro Paese solo 3.000. Una conferma viene dall’indagine dell’ISTAT (dicembre 2009-febbraio 2010) sulla condizione occupazionale dei dottori di ricerca: questa indagine ha infatti mostrato che due anni dopo avere conseguito il titolo, circa il 7% di loro aveva già lasciato il Paese e circa il 12% pensava di emigrare entro un anno. In particolare, quasi un quarto dei dottori in Scienze Fisiche era già emigrato.

Da http://eggrollgames.com/wp-content/uploads/2016/05/brain-drain.jpg
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Le cause di questa “grande fuga” dei ricercatori dall’Italia sono chiare. Indagini svolte dal Consorzio Interuniversitario “Alma Laurea”, dal CNR e dall’ISFOL mostrano che, rispetto ai laureati nello stesso anno che lavorano in Italia, coloro che lavorano all’estero utilizzano meglio il loro titolo di studio, ottengono più spesso posti di lavoro stabili e incarichi importanti, di solito in università e istituti di ricerca, e ricevono uno stipendio mensile netto superiore alla media di coloro che sono rimasti in Italia. Inoltre, sono molto più soddisfatti dei colleghi rimasti in Patria per il tipo di lavoro svolto, le opportunità di carriera e il salario, il tipo di contratto, il senso di indipendenza e libertà nel proprio lavoro. Perciò, più del 50% degli italiani con un titolo di studio universitario emigrati all’estero e intervistati in queste indagini non intendeva tornare in Italia e un’altra alta percentuale non sapeva dire se prima o poi tornerà.

È evidente quindi che i ricercatori italiani costituiscono risorse umane di alta qualità, come dimostra la loro rilevante produttività scientifica e il significativo numero di premi e contratti europei vinti. Il loro contributo sarebbe quindi utilissimo per lo sviluppo del sistema produttivo nazionale, ma l’industria italiana non è disponibile a una riconversione della propria tradizionale struttura basata prevalentemente su prodotti di basso contenuto tecnologico e sul basso costo del lavoro.

Nel 2001 fu lanciato dal Governo Berlusconi il programma “Rientro dei cervelli”, finalizzato al ritorno dei ricercatori italiani dall’estero e ad incoraggiare quelli stranieri a lavorare in Italia. I risultati conseguiti da questo programma sono stati però deludenti, in quanto questo provvedimento ha fatto entrare in Italia solo 519 ricercatori tra il 2001 ed il 2010 e solo un quarto circa di loro è poi rimasto in Italia. Non c’è motivo di credere che l’analogo programma lanciato quest’anno dal Governo Renzi darà risultati migliori, dato che le ragioni della scarsa propensione dei ricercatori a lavorare in Italia permangono.

Albert Einstein (da http://www.succedeoggi.it/wordpress/wp-content/uploads/2015/12/Albert-Einstein.jpg)
Albert Einstein (da http://www.succedeoggi.it/wordpress/wp-content/uploads/2015/12/Albert-Einstein.jpg)

Infatti, come si è visto, la “fuga dei cervelli” dall’Italia è dovuta al fatto che il nostro Paese si colloca in una posizione molto bassa nella classifica dei Paesi più industrializzati sia per il rapporto tra spese di ricerca e PIL sia per numero di ricercatori su 1.000 occupati. Perciò la disponibilità di posti di lavoro, le prospettive di carriera e gli stipendi dei ricercatori in Italia sono molto minori di quelli negli altri Paesi industrializzati e i finanziamenti per l’università e la ricerca (sia pubblica che delle imprese) nel nostro Paese sono sempre più scarsi: non si può sperare di ovviare a questa situazione offrendo contratti a termine o un “tesoretto” per qualche anno.

L’unica soluzione possibile è quindi quella di una seria riconversione industriale e di un rilancio del sistema di ricerca italiano che deve essere portato ai livelli di finanziamenti e di risorse umane dei Paesi con i quali si vuole competere, perché, proprio nella attuale situazione di crisi economica, sono solo gli investimenti nel settore della conoscenza che possono fare riprendere slancio all’economia del Paese. Finché questa condizione non sarà verificata, la “fuga dei cervelli” dall’Italia continuerà.

Per saperne di più:

Brandi M.C., Modelli interpretativi e politiche di accoglienza delle migrazioni qualificate, Studi Emigrazione, 2010, 179, 523-541

Brandi M.C.-Segnana M.L., “Lavorare all’estero: fuga o investimento?” in Consorzio Interuniversitario Alma Laurea (a cura di) X Indagine Alma Laurea sulla condizione occupazionale dei laureati, 2008, Il Mulino

Docquier F.-Marfouk A., Measuring the International Mobility of Skilled Workers (1990-2000), World Bank Policy Research Working, 2004, Papers n. 3381.

Sylos Labini F.-Zapperi S. I ricercatori non crescono sugli alberi, 2010, Laterza, Bari

Vito Francesco Polcaro, scienziato dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia spaziale (Istituto Nazionale di Astrofisica), e membro del Centro per l’astronomia e l’eredità culturale dell’Università di Ferrara