“24 aprile 1945: (…) giunta a casa diedi la notizia a Ettore e Paolo e anche alla fedele Espedita, che si mise subito a tinger di rosso panni e tendine, per farne delle bandiere. E quando vidi appesa ad asciugare in cucina, uscita appena dalle mani di Ettore, la rossa bandiera di Giustizia e Libertà, piansi di commozione”.
È Ada Prospero – di cui il 14 marzo scorso ricorreva il cinquantesimo della morte – a scrivere queste parole nel suo “Diario Partigiano”: le sue lacrime suggellano l’incipit della nuova stagione: una infinita scommessa sul futuro che poteva essere all’indomani della Liberazione.
Sulle spalle di Ada grava il lutto che, diciannove anni prima, l’ha colpita, portandole via l’amore della giovinezza, il marito Piero Gobetti. A segnare la continuità degli ideali e del radicale antifascismo etico che la univa a Gobetti, Ada, da donna libera, sceglierà di conservarne per sempre il cognome, affiancandolo poi a quello del secondo marito, l’ingegnere Marchesini.
Laureata da poco in filosofia teoretica a Torino, Ada partorisce un bambino che conoscerà il padre solo dai racconti. Perché Paolo ha due mesi quando Piero Gobetti, rifugiato in Francia già sofferente, e provato dalle brutali aggressioni squadriste, muore. È il febbraio 1926, e il fascismo sembra voler durare all’infinito.
Ada confiderà solo all’amica e compagna di lotta antifascista Bianca Guidetti Serra la ferocia del proprio dolore. Accadrà nell’inverno 1943-1944, quando, nascoste e angosciate dalla paura di essere ammazzate dai tedeschi, nell’ombra che impedisce alle due donne di guardarsi in viso, Ada sussurrò che la morte di Piero l’aveva precipitata per lungo tempo “nel buio”.
Ada stringerà i denti, affronterà la vita, crescerà Paolo, farà la sua scelta da donna libera: sarà tra i fondatori del Partito di Azione, commissario politico della IV Divisione GL «Stellina» in Val di Susa, trasformerà la sua casa di Torino e quella di Meana in punto di incontro e rifugio di partigiani e antifascisti, con la portinaia Espedita Martinoli a vegliare nel caso di controlli della polizia. Organizzatrice dei gruppi di donne resistenti, che avranno parte attiva nella Liberazione di Torino, Ada terrà silente nel cuore il terrore per la sorte di Paolo che, diciotto anni non ancora compiuti, è partigiano nelle formazioni di Giustizia e Libertà nelle valli piemontesi.
Traduttrice, insegnante, scrittrice, giornalista, membro del Consiglio nazionale dell’Anpi nel ’46, impegnata attivamente in politica – è vice sindaco di Torino subito dopo la Liberazione e iscritta al Pci nel ’56 – Ada ci ha lasciato il suo “Diario partigiano”, testimonianza altissima della quotidianità di una donna resistente.
Ada, che non trattiene il pianto liberatorio nel giorno della Liberazione della sua città, quasi da subito, anno 1949, sente tutto il rischio del ritorno alla quieta indifferenza e alla normalizzazione dell’antifascismo, imbalsamato in liturgia nazionale piuttosto che declinato in democrazia militante.
Forse avrebbe potuto scriverle Piero Gobetti, queste parole; ma è Ada, donna libera e coraggiosa, a farlo – nel 1949: “si trattava inoltre di combattere tra di noi e dentro noi stessi per non abbandonarci alla comoda esaltazione d’ideali per tanto tempo vagheggiati, di non lasciare che si spegnesse nell’aria morta di una normalità solo apparentemente riconquistata quella piccola fiamma di umanità solidale e fraterna che avevamo visto nascere il 10 settembre e per venti mesi ci aveva sostenuti e guidati”.
Questa esigenza di ricominciare da se stessi, interrogandoci sul significato del nostro essere antifascisti, è la stessa che sentiamo anche noi oggi e, dopo una manciata di giorni dal 25 aprile, non vogliamo lasciare alla retorica resistenziale.
Annalisa Alessio e Mario Albrigoni, Comitato provinciale Anpi Pavia
Pubblicato sabato 5 Maggio 2018
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