Fountain, 1917

Può un orinatoio aver cambiato il corso della storia dell’arte? Sì, se l’oggetto in questione è Fontana, creato da una delle menti più interessanti del secolo scorso, l’artista e scacchista francese Marcel Duchamp (1887-1968), di cui quest’anno ricorre il cinquantenario della sua morte. Tutto è cominciato in un giorno di aprile del 1917: Duchamp passeggia per le strade di Manhattan assieme al collega Joseph Stella e a Walter Arensberg, suo infaticabile sostenitore. I tre si fermano al numero 118 della Quinta Strada davanti al negozio specializzato in forniture idrauliche J. L. Mott Iron Works. Dopo essere entrati e aver girovagato fra gli scaffali, Duchamp decide di comprare un orinatoio di porcellana bianco, un Bedfordshire tutto lucente per la precisione, pronto per essere portato nel suo studio e subire una curiosa trasformazione. L’artista, infatti, con lo pseudonimo “R. Mutt 1917”, firmerà e daterà con tempera nera l’oggetto, chiamandolo Fontana. Se fino a qualche ora prima quella porcellana era un comune orinatoio adesso, grazie all’azione di Duchamp, si era trasformata in un’opera d’arte: una forma di scultura rivoluzionaria già fatta, il Ready Made per l’appunto.

Marcel Duchamp

Erano alcuni anni che l’artista stava lavorando su questa idea, interrogandosi se fosse possibile creare opere che non fossero “opere” d’arte. Già nel 1913 aveva realizzato Ruota di bicicletta, fissando su uno sgabello una ruota di bicicletta al contrario e nel 1914 aveva presentato lo Scolabottiglie, spostando l’attenzione dall’estetica alla questione dell’uso. Anche se sembrava una scultura astratta, infatti, lo scolabottiglie di Duchamp era al tempo stesso sia un oggetto utilitario, sia una merce, sia un’opera d’arte. Con Fontana, però, Duchamp aveva deciso di essere ancora più provocatorio.

L’opera doveva essere presentata alla Independents Exhibition del 1917, una delle più prestigiose rassegne di arte moderna allestita in America. L’evento era organizzato da un gruppo di intellettuali in posizione polemica nei confronti della più classica National Academy of Design. Secondo le loro regole, tutti, sottoscrivendo una somma di pochi dollari, potevano partecipare all’esposizione, presentando un massimo di due opere a testa. Duchamp era uno dei direttori della Società e membro del comitato che organizzava la rassegna e, per non essere riconosciuto, aveva deciso di presentare la sua Fontana firmandola “Mutt”. Questo pseudonimo derivava da un gioco di parole con Mott, il negozio di idraulica in cui aveva comprato l’orinatoio, e dal fumetto comico di Mutt and Jeff, il cui protagonista Mutt era un uomo poco intelligente, ossessionato dal gioco d’azzardo e dai guadagni facili. Duchamp, con questo riferimento, criticava i collezionisti avidi e gli organizzatori di eventi d’arte, tutta gente, parole sue, simpatica ma “parassita”.

Ruota di bicicletta

Scegliendo di trasformare un orinatoio in un’opera d’arte, Duchamp voleva inoltre solleticare le menti del pubblico, aprendo la riflessioni su quesiti centrali nel dibattito artistico di allora come di oggi. L’artista, deliberatamente, metteva in discussione il concetto di opera d’arte così come era stato definito dagli accademici e dai critici, suggerendo che solamente l’artista poteva decretare cosa fosse arte. Duchamp metteva in crisi anche il ruolo del mezzo, del supporto artistico, che doveva essere sempre secondario all’idea dell’artista. La scelta di un orinatoio, per di più, dava la possibilità all’artista di giocare su più piani: era un oggetto che poteva destare imbarazzo, e se visto al contrario la sua forma era una chiara allusione alla sfera sessuale.

Duchamp con questa operazione voleva sfidare il comitato organizzativo a seguire le regole che loro stessi avevano stabilito per combattere il mondo dell’arte tradizionale.

Fontana, tuttavia, non fu accettata, perché l’orinatoio era un oggetto offensivo per la maggior parte degli americani. L’opera suscitò disgusto, molti membri della Società Americana degli Artisti Indipendenti si offesero, dicendo che questo signor “Mutt” voleva prenderli in giro. Fontana fu cestinata (l’unica fra le 2125 presentate) e Duchamp si dimise dal comitato organizzativo. Attraverso la portavoce Beatrice Wood, l’artista scrisse una difesa dal titolo “Il caso Richard Mutt” pubblicata poi nella rivista “The Blind Man” dove asseriva: «Dicono che ogni artista che paga sei dollari può esporre. Il signor Richard Mutt ha mandato una fontana. Senza discussione questo articolo è scomparso e mai esposto. Le ragioni del rifiuto della fontana del signor Mutt furono: 1) alcuni hanno contestato che era immorale, volgare; 2) altri che era un plagio, un evidente pezzo di idraulica. Ora, la fontana del signor Mutt non è immorale, ciò è assurdo, non più di quando non lo sia una tubatura. È un oggetto che vedete ogni giorno in una vetrina di negozio di idraulica. Che il signor Mutt abbia fatto o meno la fontana con le proprie mani non ha importanza. L’ha SCELTA. Ha preso un normale articolo quotidiano, l’ha posto in modo che il suo significato utilitario scomparisse sotto il nuovo titolo e punto di vista – ha creato una nuova idea per quell’oggetto. Per quanto riguarda l’idraulica, è assurdo. Le uniche opere d’arte che l’America ha dato sono i suoi impianti idraulici e i suoi ponti».

Nude descending a staircase

Qualche giorno dopo il fattaccio, però, il fotografo Alfred Stieglitz, fra i più importanti della sua generazione, aveva scattato una fotografia a una copia identica dell’oggetto incriminato, decretandone di fatto il successo. Duchamp aveva così ottenuto il suo obiettivo. L’arte non risiedeva più nell’oggetto materiale ma nell’idea dell’artista, perché, come direbbe Leonardo da Vinci, “l’arte è cosa mentale” e ciò che conta è il gesto creativo. Fontana non fu mai esposta nella sua versione originaria e la sua copia è divenuta nel tempo una delle opere emblematiche del XX secolo.

Le questioni affrontate da Duchamp sono tutt’ora discusse in arte. Suo il merito di aver affermato che scultura e pittura sono soltanto due mezzi fra molti per comunicare l’idea dell’artista, aprendo l’evoluzione artistica a numerose e nuove possibilità. Sua la capacità di intuire e interrogarsi sul rapporto fra gli oggetti utilitari e quelli estetici.

Per lui, il compito dell’artista nella società non era creare opere belle, piacevoli alla vista, bensì quello di interpretare il mondo con idee originali.

Introdotto al Cubismo dai suoi due fratelli, anche loro artisti, Duchamp se ne era allontanato ben presto, quando il suo Nudo che scende le scale n. 2 (1912), giudicato troppo vicino al futurismo, venne rifiutato dal comitato del XXVIII Salon des Indépendant, sotto la pressione del pittore cubista Gleizes.

Mona Lisa

L’artista diviene ben presto il maestro dell’arte della provocazione. In questo senso, un incontro importante sarà quello con lo scrittore e drammaturgo francese Raymond Roussel: «Pensavo che come pittore era meglio essere influenzato da uno scrittore che da un altro pittore e Roussel – ricorda Duchamp – mi ha mostrato il mondo». Con i suoi giochi di scrittura Roussel mostrò all’artista come creare dubbi e spaesamenti sulle nozioni convenzionali. Sulla scia di questa influenza nascerà la sua opera più complessa: Il grande Vetro, o anche La sposa messa a nudo dai suoi celibi (1915-1923), una scultura rompicapo, creata per disorientare e portare lo spettatore a difficili esercizi interpretativi.

Per tutta la vita, l’artista si divertì a provocare il mondo accademico con le sue creazioni impertinenti: nel 1919 aveva disegnato baffi e pizzetto sopra una riproduzione fotografica della Gioconda di Leonardo da Vinci, aggiungendo la scritta «L.H.O.O.Q.», la cui pronuncia in francese suonava simile a elle a chaud au cul, alludendo ai bollori erotici di Monna Lisa.

Duchamp e Ruota di bicicletta

L’anno successivo Duchamp aveva cambiato personalità, facendosi immortalare da Man Ray come Rrose Selavy, il cui gioco fonetico suonava Eros, c’est la vie (Eros, questa è la vita) e pure Arroser la vie (Brindare alla vita). Rrose Sélavy, il suo alter ego femminile, era anche dotato di biglietti da visita con su scritto: «Ottica di precisione Rose Sélavy. New York-Parigi – assortimento completo di baffi e trucchetti».

L’ironia non abbandonò mai Duchamp, perfino quando morì salutò il mondo con l’epitaffio: «D’altronde, sono sempre gli altri che se ne vanno».

 Francesca Gentili, critica d’arte