Per Enzo Zatta e Giancarlo Feriotti, curatori del libro Storie dai lager (Mursia, Milano, 2017), dare voce anche all’ultimo dei deportati e degli internati, oltre che essere un fatto culturale e personale, è soprattutto un dovere civico. Il libro si compone di quattro manoscritti che raccontano le diverse esperienze di prigionia avvenute nella prima metà dello scorso secolo. Si apre con una locuzione di padre Luigi Francesco Ruffato: “anche le vittime possono uccidere quelli che rimangono, se non sono restituite alla verità dalla memoria dei posteri”.

Sono quattro storie diverse di prigionia, di deportazione e di internamento, ma tutte legate dalla sofferenza e dalla privazione della libertà di cui sono stati carichi gli anni bui della Seconda guerra mondiale e della ritirata di Russia. Quattro sopravvissuti ai campi di concentramento che raccontano della loro drammatica odissea, in cui risuonano forti anche le voci di chi dai lager e dai gulag non è tornato. Sono racconti che, a taluni, possono sembrare ‘giurassici’, lontani anni luci dal pensare e agire odierno. Ma, da una più attenta lettura, soprattutto in chiave pedagogica, non possono sfuggire i messaggi forti di cui gli stessi deportati, internati o reduci che fossero, sono portatori inconsapevoli. Solo così, forse, si comprende la dedica nel libro: “alle future generazioni, affinché possano trarne il giusto insegnamento”.

È di Fritz Wandel, oppositore tedesco al regime nazifascista, arrestato nel marzo 1933 e poi imprigionato per dodici anni, di cui cinque anni e mezzo a Dachau, il primo manoscritto. Wandel iniziò a scriverlo pochi mesi dopo il suo ritorno dal fronte, dove era stato mandato dai tedeschi a combattere contro i russi gli ultimi mesi di guerra. Dal suo racconto, sobrio e toccante, mai tradotto in italiano, emerge tra l’altro un fatto assai rilevante accaduto nel lager di Dachau il 1° novembre 1938, che potrebbe riscrivere una pagina della storia sulla Shoah e riaprire il capitolo sulle motivazioni che hanno scatenato la cosiddetta Notte dei cristalli.

Segue la vicenda di Delfina Borgato la sedicenne di Saonara che il 5 agosto del 1944 fu deportata in Austria per aver aiutato degli ex prigionieri inglesi e neozelandesi a mettersi in salvo in Svizzera. “Trattate come bestie, raggruppate come animali, affrontammo una strada recintata da reticolato che saliva immersa in una fitta boscaglia; noi ancora non lo sapevamo, ma ci avrebbe condotti al campo di concentramento di Mauthausen”. Tornata molto provata dalla prigionia, Delfina cercò di superare la drammatica esperienza dedicandosi alla famiglia. Solo col passare degli anni riuscì a parlarne e molte furono le occasioni in cui si recò nelle scuole per portare la sua testimonianza. Insignita del titolo di Cavaliere della Repubblica dal Presidente Azeglio Ciampi ed elogiata nel 2015 con un’altra importante onorificenza dal Presidente Sergio Mattarella, oggi questa figura viene ricordata anche nel Giardino dei Giusti del mondo di Padova.

Delfina Borgato, scomparsa nel 2015, nella foto originale riprodotta in copertina del libro (da http://www.annafrankarcole.it/gallery/15/ medium/IMG_1330.JPG)

Il diciannovenne padovano Ferruccio Bortolami, artigliere di stanza in Grecia durante l’ultimo conflitto mondiale, è il protagonista del terzo racconto. Fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò, fu deportato in un vagone bestiame per essere poi internato a Torgau e a Leimbach. Ferruccio Bortolami, grazie alla sua innata capacità di sapersela cavare in situazioni avverse, non solo riuscì a sopravvivere ai campi di concentramento ma durante la prigionia conobbe Ilse, una giovane tedesca che lavorava come impiegata nel lager e se ne innamorò. Una storia d’amore che neppure gli aguzzini di Hitler riusciranno a impedire. È il bene che trionfa sul male, è l’amore che sopravvive all’odio e al disprezzo per la vita altrui.

Il quarto racconto è stato scritto da Giovanni Feriotti un alpino della Julia. Arruolato nel 9° Reggimento Vicenza, fu mandato dal fascismo a combattere in Grecia e poi in Russia dove sopravvisse miracolosamente per tre anni ai terribili campi di concentramento sovietici. Feriotti attese oltre sessant’anni prima di decidersi a scrivere le sue memorie. In queste pagine rivivono le dolorose e drammatiche giornate del fronte russo con l’immediatezza di un reportage. Riappaiono i volti e le gesta dei protagonisti meno noti, e di chi in quella guerra lasciarono la miglior parte di sé. La mia guerra – così la chiama Feriotti – narra della marcia forzata nella sconfinata Siberia con il freddo a meno trentasette gradi sotto lo zero e di commilitoni che non ce l’hanno fatta: “Solo la neve c’era contro i morsi della fame”. Ma racconta anche di gesti di solidarietà di famiglie russe sebbene fossero anch’esse ridotte in miseria.


Enzo Zatta, nato a Padova, è figlio di un internato militare nel campo di concentramento di Ziegenhain-Stalag IXa. Da oltre un ventennio svolge ricerche sulla deportazione dall’Italia e sui lager nazisti della Seconda guerra mondiale. Dal 1990 raccoglie testimonianze di reduci e di internati, promuovendo incontri nelle scuole incentrati sulla memorialistica dell’ultimo conflitto.  Ha scritto Maria Borgato. Una vita firmata dono, Cleup, Padova, 2002.

Giancarlo Feriotti, nato a Cornedo Vicentino, appassionato ricercatore storico sui campi di sterminio e deportazione, è figlio di un internato a Spandau (Berlino). Da oltre venticinque anni raccoglie pubblicazioni sulla Seconda guerra mondiale. Collabora con istituti storici, riviste, quotidiani e associazioni di reduci e deportati. Da un ventennio cura mostre sulla deportazione.