Emilia Romagna, le donne partigiane sfilano dopo la Liberazione (Archivio fotografico Anpi nazionale)

“Il voto, nel 1946, le donne se lo sono conquistate in montagna, combattendo”. Lo ha detto Carla Nespolo, indimenticabile prima presidente donna dell’Anpi. È la verità. Mai nulla è stato facile per le donne. Mai nulla ci è stato regalato. Diritti, dignità sono conquiste ottenute con le unghie e con i denti, con la forza e il coraggio prima di tutto delle partigiane che, anche dopo la Resistenza, non vollero tornare al loro ruolo marginale e ininfluente.

(Archivio fotografico Anpi nazionale)

Avevano combattuto contro il fascismo e il nazismo, per la democrazia e la libertà, avevano messo a disposizione dell’Italia martirizzata la passione, la forza, la determinazione.

La loro scelta di libertà aveva avuto spesso un valore superiore persino a quello enorme dei compagni partigiani. Non erano state arruolate, non erano state obbligate a lasciare le loro case.

Quell’8 settembre non avevano dovuto decidere per il diktat di un bando da che parte stare. Erano ragazze e vivevano in famiglia. Eppure scelsero di rischiare tutto. Una decisione consapevole e ardita: essere nella Resistenza. Molte hanno pagato con la prigionia, con le torture, con la vita.

Molte altre, a Liberazione conquistata, non sono tornate a casa, come molti volevano. Sapevano che dovevano continuare a lottare per se stesse e per tutte le donne.

Il primo obiettivo era quello di contare nella società attraverso il voto dalle quali erano state escluse. Settantacinque anni fa le donne votarono per la prima volta, a marzo per le amministrative e il 2 giugno per scegliere tra monarchia e repubblica e scelsero la strada della costruzione di una repubblica democratica e l’elezione per la prima volta di 21 donne all’Assemblea costituente.

Quel 2 giugno del 1946 fu la data della svolta. Ricordiamoli sempre i nomi delle madri costituenti: Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Maria De Unterrichter Jervolino, Filomena Delli Castelli, Maria Agamben Federici, Nadia Gallico Spano, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi Cingolani, Leonilde Iotti, Teresa Mattei, Angelina (Lina) Merlin, Angiola Minella Molinari, Rina Montagnana Togliatti, Maria Nicotra Verzotto, Teresa Noce Longo, Ottavia Penna Buscemi, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio.

Roma, marzo 1950. Il 1° convegno delle donne della Resistenza (Archivio fotografico Anpi nazionale)

“Nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se non è accompagnato da una piena emancipazione femminile; e per emancipazione noi non intendiamo solamente togliere barriere al libero sviluppo di singole personalità, ma un effettivo progresso e una concreta liberazione per tutte le masse femminili”, disse Teresa Mattei nel suo discorso all’Assemblea Costituente del 18 marzo 1947.

Roma, piazza Navona (Archivio fotografico Anpi nazionale)

Il tempo è passato e abbiamo imparato che per ogni cambiamento, in avanti o indietro della società, c’è un orologio, quello che contrassegna la condizione delle donne, la loro promozione o il disconoscimento della parità e della differenza femminile. Un orologio che segna il tempo della libertà delle donne, a partire dalle storie delle partigiane, delle antifasciste, delle deportate e delle costituenti che hanno fatto crescere nuove generazioni di donne libere e antifasciste.

Alle Costituenti dobbiamo le prime faticose conquiste in una società patriarcale: pari dignità sociale e l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge; parità tra uomini e donne in ambito lavorativo; uguaglianza morale e giuridica dei coniugi all’interno della famiglia; tutela giuridica e sociale ai figli nati fuori dal matrimonio; misure economiche a sostegno della famiglia; parità di accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizione di uguaglianza.

(Archivio fotografico Anpi nazionale)

Tutto bene? Uguaglianza raggiunta? No, bisognava ancora lottare e le partigiane si unirono alle nuove generazioni di donne nei movimenti. Solo tra il 1956 e il 1981 furono aboliti per legge lo ius corrigendi, il diritto dei mariti di picchiare le mogli se, a loro personale giudizio, commettevano sbagli nell’educazione dei figli; la potestà maritale; le discriminazioni di genere nei luoghi lavoro; il delitto d’onore. Mentre passarono le leggi sul divorzio e sull’interruzione di gravidanza. E solo nel 1996 la violenza sessuale venne riconosciuta come crimine contro la persona e non contro la morale e il buon costume.

Le tante leggi che nel nostro Paese hanno contribuito a delineare un sistema di welfare solidale, attivo, che prende in carico ciascuna persona, che valorizza le risorse umane, hanno delineato una dimensione della cittadinanza che deve essere – per tutti – sociale, civile e politica.

Gli strumenti per promuovere una nuova cultura civica, fonte di dignità, che abbatta stereotipi discriminatori e obsoleti nel rispetto delle persone, non mancano. Ma ancora oggi l’oscurantismo, il patriarcato, la discriminazione, la violenza sono rischi per la dignità e per la stessa vita delle donne. Servono coerenza, responsabilità, attenzione al bene comune e, in sostanza, condivisione di quei valori che sono alla base della nostra Costituzione: giustizia, solidarietà, parità, uguaglianza.

Su questo fronte e, senza mai abbassare la guardia, c’è l’impegno quotidiano del Coordinamento Nazionale Donne dell’Anpi, in un filo rosso che lega le donne della Resistenza e i valori della Costituzione alla storia delle forze migliori del Paese nelle battaglie per la dignità delle persone e il riconoscimento dei diritti di cittadinanza.

Roma, 11 marzo 1983. Nilde Iotti all’assemblea delle donne dello stabilimento Fatme

Un coordinamento che opera in rete con le altre associazioni e in una grande alleanza democratica per i diritti di tutte e tutti, per la giustizia sociale e che, sia a livello nazionale che a livello locale, in questo lungo periodo di pandemia si è mobilitato più che mai contro la negazione dei diritti, la povertà, l’emarginazione, per la giustizia sociale e, come ci hanno insegnato le partigiane, per la solidarietà vera, sul campo, oggi con donne sia italiane che straniere.

L’orologio del tempo delle donne libere oggi segna decine e decine di iniziative dell’Anpi e dei suoi coordinamenti donne del territorio, da Genova a Roma, da Milano a Palermo, da Perugia a Brindisi, da Cosenza ad Ancona e Potenza, da Firenze a Udine e Torino, in ricordo delle resistenti e per la rinascita del Paese, perché sia finalmente per tutte e per tutti il tempo delle persone libere.

Manifestazione per l’approvazione del ddl Zan (Imagoeconomica)

Questo abbiamo fatto e questo continueremo a fare, assieme alla generazione delle giovani antifasciste, senza dimenticare la battaglia di tutte e tutti per l’approvazione al Senato del ddl Zan che punisce i crimini di odio e le discriminazioni.

Metteremo al centro del nostro agire, come sempre, la persona, il lavoro, la socialità e la solidarietà, nel rispetto della Costituzione. In questo 2 giugno, data fondamentale per le donne, in ricordo di quella svolta di civiltà, il nostro impegno è anche quello di alzare la voce affinché dalle grandi metropoli ai paesi della periferia di questa Italia martoriata, le istituzioni mettano mano alla toponomastica. Pochissime sono le strade intitolate alle partigiane e alle antifasciste che hanno dato la vita per la nostra libertà di donne e per la libertà di tutti, alle sopravvissute alla ferocia nazista e fascista che hanno continuato a lottare per i diritti e contro la violenza, per la dignità di ogni cittadino indipendentemente dal sesso. Meritano un ricordo perenne. Meritano che siano intitolate a loro, al loro coraggio, alla loro determinazione, al loro senso della giustizia sociale piazze e strade. Perché, senza la lotta delle donne, a partire dalle partigiane, non c’è e non ci saranno mai democrazia e libertà.

Coordinamento Nazionale Donne Anpi