generazione BataclanIl giornalista italiano Paolo Brogi ci racconta Generazione Bataclan, una pagina Facebook (https://www.facebook.com/Generazione-Bataclan-1029813500403451/?fref=ts) nata per solidarietà alle 130 vittime degli attentati di Parigi, raccogliendo la Spoon River di una gioventù cosmopolita, coraggiosa e sorprendente. Un lavoro collettivo ancora in corso, realizzato grazie alla collaborazione di persone comuni – non professionisti dell’informazione – che hanno scoperto storie inedite e inattese. Come non sono riusciti a fare neppure i più grandi e potenti quotidiani e settimanali internazionali. Paolo Brogi già cronista di Reporter, L’Europeo, Il Corriere della Sera ora gestisce un blog per “notizie che non trovano spazio”. Scrittore e traduttore, nel 2015 per Imprimatur ha pubblicato Eroi e poveri diavoli della Grande Guerra e Ho avuto un’idea. Giovani talenti italiani e start up di successo.

Paolo Brogi
Paolo Brogi

Brogi, come è nata l’idea della pagina Facebook Generazione Bataclan?

«Tutto è cominciato per emozione, empatia, partecipazione a quanto accaduto. Le vittime degli attentati del 13 novembre avevano la stessa età, in media trent’anni, e mostrare i loro volti era un modo per ricordare, rendere omaggio, riparare all’ingiustizia di 130 vite stroncate, annientate da loro coetanei, mentre erano in un bistrot, passeggiavano in strada, ascoltavano un concerto. Ne è nata la più completa raccolta di ritratti degli uccisi mai pubblicata. Le maggiori testate informative internazionali sono arrivate a metterne insieme circa un centinaio, noi abbiamo realizzato 125 piccole biografie con foto, più altre quattro senza. GB è un lavoro collettivo, realizzato con la partecipazione attiva di persone comuni, non giornalisti, utenti di Facebook – dall’assicuratrice di Grosseto all’impiegata del pubblico registro di Palermo – che si sono messe a cercare. Trovare le immagini non era affatto scontato».

Sono scatti di volti sorridenti, immortalati in momenti felici…

«Abbiamo esplorato le pagine online dei giornali locali, profili social, indirizzi web di agenzie funerarie. Desideravamo conoscere quei ragazzi attraverso le loro storie, andare oltre la contabilità dei morti, e così abbiamo anche scoperto molte inesattezze nelle notizie diffuse dalla stampa. Il cosiddetto circo mediatico tradizionale ha una parte di responsabilità in questo, come spesso accade nei grandi e tragici eventi di cronaca. Per esempio, Generazione Bataclan ha appena restituito il nome, non ancora il cognome, alla “femme” del poliziotto Hardouin. I giornali francesi non sembrano interessati a sapere chi era: si chiamava Marie. La prossima settimana la coppia avrebbe sottoscritto i Pacs. Navigando tra centinaia di fonti abbiamo trovato la foto di Salah Geladie, un egiziano immigrato, muratore piastrellista. Aveva ventotto anni. Nel suo Paese lascia una moglie. Né le Monde, le Figarò o Liberation ci sono riusciti. Tra le ultime foto reperite c’è quella di Alma Burglund, una studentessa svedese di 23 anni: il suo Paese aveva posto una sorta di incomprensibile embargo su lei. Christophe Lellouche, altro esempio, risultava disoccupato e invece non lo era. Lo ha voluto precisare a noi una sua amica milanese. L’esattezza è segno di rispetto».

Cosa vi ha maggiormente sorpreso raccontando le vittime del 13 novembre?

«Soprattutto le storie di coraggio e sacrificio, appena accennate invece dai grandi mezzi di informazione. Ha fatto notizia la morte di Asta Diakité, cugina del calciatore della nazionale francese, perché Mobido ha pubblicato un tweet che ha fatto il giro del mondo. Al contrario si è segnalato quasi di sfuggita che Asta col suo corpo ha fatto scudo umano al nipotino. Ludo Boumbas, un ingegnere congolese, nero come il carbone, ha salvato l’amica Chloè. E ci sono altri casi che stiamo cercando di documentare, almeno sette od otto. A far indignare è la superficialità, addirittura in occasione di eventi emblematici, di chi dispone di maggiori strumenti per informare. Abbiamo sentito il dovere di trasmettere a futura memoria, le speranze e i desideri di una generazione spezzata. Ci aiuterà a capire il nostro tempo».

Una foto per tutte: Marion Jouanneau, 26 anni
Una foto per tutte: Marion Jouanneau, 26 anni

La pagina è dunque un omaggio e insieme un nuovo orizzonte per l’informazione?

«Con Generazione Bataclan abbiamo sperimentato una modalità partecipata di fare informazione. Credo sia la prima ‘redazione volante’ nata su Facebook e ha fatto un lavoro egregio. È frutto di scelte puntuali e consapevoli, non abbiamo ripreso ‘pezzi’ di grandi firme del giornalismo per comporre la gallery. In parecchi lo hanno apprezzato: l’insegnante di Valeria Solesin ci ha mandato un articolo scritto per gli amici francesi della giovane veneziana, brillante studentessa alla Sorbona e volontaria di Emergency. Finora abbiamo registrato oltre cinquemila condivisioni. Solo in seguito, televisioni e stampa si sono occupate di noi. C’è ancora molto lavoro da fare e auspichiamo di ricevere altri contributi per ricostruire quelle 130 giovani vite e il loro linguaggio di pace e solidarietà senza confini di nazionalità, etnia o religione».