Brindisi. Le sei rifugiate afghane, ospiti a Lecce dopo aver lasciato il loro Paese, testimoniano la violenza che è tornata ad abbattersi sulle donne

Parwin ha 26 anni, è un’attivista dei diritti delle donne e oppositrice al governo dei talebani. «Sono nata in un Paese – racconta – in cui essere donne è un reato. Il governo talebano è criminale. Ci hanno tolto diritti e libertà. Oggi una bambina di tredici anni, se considerata bella, viene data in sposa a un capo talebano. Se i genitori rifiutano, vengono uccisi. Le donne non possono uscire se non accompagnate da un uomo di famiglia e coperte dalla testa ai piedi. Oggi – sottolinea Parwin – si parla solo della guerra in Ucraina e delle battaglie in Iran, siamo solidali con le proteste ma la tragedia afghana è coperta dal silenzio. Eppure nella nostra terra le donne vengono perseguitate, violentate e uccise. Io stessa ho dovuto cambiare Paese per non essere uccisa. Noi rifugiate siamo preoccupate per le nostre famiglie rimaste in Afghanistan, per le nostre sorelle che non sono riuscite a fuggire come noi. Chiediamo al resto del mondo di essere la loro voce».

Brindisi. Nella sala comunale intitolata a Gino Strada molto partecipato l’incotro promosso da Anpi, Arci solidarietà, Io Donna, Auser e dal Coordinamento donne Spi-Cgil, in collaborazione con la Commissione pari opportunità del Comune di Brindisi

Fatima, giornalista di 27 anni. «Lavoravo a Kabul – spiega – ma con il ritorno al potere dei talebani era ormai impossibile pubblicare qualsiasi cosa, scrivere la verità, raccontare l’orrore. Ma i giornalisti da noi sono in pericolo, devono nascondersi. Gli hanno tolto telefono, pc e penne. Ecco cosa sta accadendo oggi. La democrazia è morta, la povertà dilaga. Le donne sono sotto continue minacce. Il mondo – aggiunge – non sa o sa poco, e comunque preferisce non vedere. Ciò che chiediamo con forza è il non riconoscimento da parte di tutti gli Stati del governo talebano».

Le testimonianze delle giovani afghane durante l’incontro promosso a Brindisi

Kamela, 25 anni, è un’altra attivista fuggita grazie ai corridoi umanitari. «Solo manifestare per i nostri diritti mette a rischio la vita – denuncia –. Le ragazze non possono andare a scuola e nemmeno lavorare. Restano chiuse in casa se non hanno un uomo a cui accompagnarsi. Noi siamo la loro voce disperata. Penso ai miei genitori che sono in pericolo, ma credo pure che dobbiamo far conoscere al mondo ciò che ancora accade nel nostro Paese. Per questo sono qui e mi espongo. Lo devo al mio popolo».

Un’altra testimonianza sulla violenza contro le donne del regime talibano

Zarifa è la più adulta del gruppo, ha 43 anni ed è poliziotta, dodici anni di servizio alle spalle. «Ero orgogliosa del mio lavoro – afferma –. Avrei voluto continuare a fare questo mestiere per tutta la vita. Ma oggi le donne non possono più lavorare. Tanto meno i talebani possono tollerare donne poliziotte. Se penso alle mie colleghe rimaste in Afghanistan, mi assale la paura per loro. So che stanno facendo lo sciopero della fame. Il mio Paese non è più un posto sicuro per nessuna donna. Se la situazione cambiasse, vi tornei subito. Ora è impossibile, continuerò qui la mia battaglia, assieme a voi se ci aiuterete».

Nabila, 29 anni, studentessa, ricorda che il 15 agosto del 2021 è stato il giorno più nero per le donne e per l’intera popolazione afghana. «Ci hanno lasciate sole, senza alcuna umanità e solidarietà internazionale. Ci hanno dimenticate in pochi giorni». Stessa disperazione, accompagnata sempre e anche da una forza d’animo senza limiti e da un coraggio da vendere, anche per Hawagul, un’altra studentessa, che di anni ne ha 24.

Un centro di accoglienza e smistamento dei progughi afghani, moltissime tra loro le donne (Imagoeconomica)

Sono sei le nostre sorelle afghane ospiti a Lecce in altrettante famiglie dallo scorso mese di luglio. Arrivate in Italia dopo essersi rifugiate in Pakistan attraverso un corridoio umanitario che le ha portate in salvo. Da allora girano nelle scuole del Salento e dell’intera Puglia. E testimoniano. A Brindisi sono state ascoltate da tante donne e tanti uomini, in rispettoso e attento silenzio, nella gremita sala intitolata a Gino Strada di Palazzo Nervegna. Farsi ascoltare è la loro missione dichiarata.

L’incontro è stato organizzato dalla sezione Anpi “Vincenzo Gigante” di Brindisi, da Io donna, dall’Auser e dal Coordinamento donne Spi-Cgil, in collaborazione con la Commissione pari opportunità del Comune di Brindisi, perché è sacrosanto cucire una rete di protezione e di ascolto di queste sorelle che hanno trasformato la vulnerabilità e la marginalità silente a cui  le ha relegate un governo fondamentalista, misogino, violento e assassino, in una forza enorme, in una volontà di reagire e di combattere sia nel loro Paese che fuori dai confini. Portano e continueranno a portare la loro testimonianza, come le ragazze afghane accolte dalla Casa internazionale delle donne di Roma, al pari delle connazionali che hanno trovato rifugio in altre città d’Italia.

Anna Caputo, presidente Arci Solidarietà Lecce

«Sono ragazze speciali – dice Anna Caputo, presidente Arci Solidarietà Lecce –. Ho chiesto a una di loro prima di un evento pubblico: non hai paura per la tua famiglia in Afghanistan? Qualcuno deve pure rischiare, ha risposto. Nel Paese hanno subìto violenze continue. Lì molte donne vengono lapidate all’insaputa del resto del mondo. O semplicemente scompaiono. Ma queste sei ragazze sono arrabbiate – continua Caputo – non hanno avuto qui la stessa modalità di gestione istituzionale dell’accoglienza delle donne ucraine. Tant’è che abbiamo dovuto ricorrere alla generosità e all’ospitalità di altrettante famiglie di Lecce. Una solidarietà privata, per così dire. Quella afghana è la tragedia più dimenticata e oscurata del mondo. Lo dicono loro e hanno ragione. È semplicemente la verità».

(Imagoeconomica)

Le donne afghane lottano contro il regime talebano per la democrazia, la laicità, l’autodeterminazione di tutto il loro popolo, per i diritti delle donne e delle persone Lgbtq, la protezione delle minoranze, le violazioni dei diritti umani, il fondamentalismo islamico, le formazioni terroristiche.

Chiedono il monitoraggio sul rispetto dei diritti umani oggi calpestati. La protesta delle donne nelle strade viene repressa con la violenza, le attiviste vengono arrestate se non uccise. Molte sono costrette ad agire in clandestinità o a fuggire dal terrore.

Kabul, agosto 2021. Marines Usa, prima di lasciare l’Afghanistan, nella missione di trasferire fuori dal Paese persone a rischio per il ritorno dei talebani al governo, dopo il ritiro dei militari statunitensi (Imagoeconomica)
Aeroporto di Kabul, agosto 2021 (Imagoeconomica)

“L’Afghanistan – abbiamo scritto nella presentazione dell’evento a Brindisi – è un Paese distrutto da oltre 40 anni di guerre che ha visto l’avvicendarsi della guerra sovietico-afghana (1979-1989), di quella civile afghana (1992-1996), del regime talebano (1996-2001), della guerra e dell’occupazione delle truppe Usa/Nato (2001-2021) e nell’agosto dello scorso anno, del ritorno dei talebani con l’accordo delle forze occidentali in ritiro. Il popolo afghano è ridotto alla fame, attanagliato dallo stallo dell’economia, dalla disoccupazione, privato dell’assistenza medica, colpito dalla repressione del regime talebano”.

Le organizzazioni promotrici brindisine si sono attivate sin dal settembre 2021 con iniziative di solidarietà e sostegno alla lotta delle donne afghane, a fianco del Cisda (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) e delle organizzazioni partner afghane, tra le quali Rawa (storica associazione afghana delle donne) e Hawca (Humanitarian Assistance for the Women and Children of Afghanistan), con la raccolta fondi destinati al progetto “Vite Preziose” per fornire assistenza alle donne vittime di violenza domestica e sociale in Afghanistan.

Le iniziative proseguono. Ma queste giovani donne, cadute nella trappola dei talebani ancora una volta, vogliono soprattutto essere ascoltate.

Roma, 19 novembre 2022. Manifestazione in sostegno della lotta delle donne iraniane

E noi, donne italiane, che pure dobbiamo continuare a reagire contro una violenza di genere dai numeri a due cifre (82  le vittime di femminicidio nel 2022, secondo le stime ufficiali) e far sentire ancora più forte la nostra voce impedendo qualsiasi intento di cancellare quel poco di giustizia sociale rimasta, difendendo libertà, autodeterminazione e i diritti conquistati, resteremo accanto alle nostre sorelle afghane. Non saranno sole. E non lo saranno le sorelle iraniane vittime della ferocia di Stato.

Brindisi, scambio di doni tra donne afghane e italiane a conclusioe dell’incontro a Brindisi

Come si è concluso l’incontro di Brindisi con le giovani attiviste afghane? Nel modo più spontaneo, quello di donne che sentono di essere sorelle nella stessa famiglia allargata a tutto il pianeta, quando si combatte per i diritti: omaggi simbolici, sorrisi, abbracci commossi, vicinanza, promesse che saranno mantenute. Perché ci siamo e ci saremo anche in futuro, le une per le altre. Sempre.

Tea Sisto, presidente Anpi Brindisi