Pochi casi di concentrazioni industriali hanno suscitato così poche polemiche come l’acquisto da parte di Mondadori di RCS Libri.
Qualche voce autorevole ha manifestato preoccupazione, è vero, alcune perplessità esternate dal ministro Franceschini, qualche polemica, un po’ di dibattito, ma, in sostanza, sembra essere un evento che non suscita grande attenzione e preoccupazione.
Salvo improbabili interventi dell’antitrust – a parte una quasi scontata multa di una qualche entità – l’Italia sarà a breve il primo Paese europeo ad avere un colosso dell’editoria libraria che controllerà da solo più del 35% del mercato. L’accordo RCS-Mondadori, infatti, significa che un solo editore sarà titolare per più di un terzo della produzione italiana di libri.
Non credo che si debba gridare “al lupo al lupo” e non riesco a immaginare che la Mondadori guidata da Marina Berlusconi si privi di autori di ogni estrazione culturale, e anche di autori scomodi: non dimentico che “Gomorra” fu pubblicato da Mondadori. Tuttavia… tuttavia, oggi come più di venti anni fa, resta quel senso di inquietudine che suscita l’idea che il capo di un partito politico ed ex capo di tre governi, che già possiede la seconda forza televisiva del Paese, ora sia anche proprietario di un colosso editoriale che cambierà alla radice il mercato dei libri in Italia.
È certamente fuori luogo evocare parole come dittatura e regime – anche perché al Quirinale c’è un presidente come Sergio Mattarella – ma l’accordo RCS-Mondadori è un altro tassello, anzi un “tassellone”, che si aggiunge a quella sorta di deriva monoculturale che sta conquistando passo dopo passo il nostro paese. È quell’humus splendidamente descritto da Scalfari nella sua analisi sulla voglia del capo del Governo di essere un “piacione”. Non è in corso una conquista all’arma bianca dei cittadini e neppure del consenso, è in corso una campagna sistematica, strutturata, costante e spietata per cambiare il sentire del Paese, cancellando, questo sì, le diversità. Più che le voci contro si vogliono colpire le voci differenti, alternative.
Pensiamo alla televisione. Il presidente del consiglio polemizza genericamente con i talk show, non cita un singolo programma e neanche singoli giornalisti (caso mai lo fa fare ai suoi fedelissimi) ma cavalca l’arma vincente del momento: basta lamentele, basta con la sinistra del secolo scorso, è superata dalla storia, bisogna guardare avanti: l’esasperazione del concetto di rottamazione da cui è partita la sua ascesa politica. In questo schema Rai3 non ci rientra: dietro a un’apparente polemica fra componenti interne del Pd – che pure naturalmente esiste – c’è un progetto ben più ampio: una monocultura che taglia le “estreme”, dissolve ciò che resta delle istanze autentiche della sinistra, depotenzia il sindacato, riduce i luoghi di discussione e di dibattito (migliaia e migliaia di piccoli ma importanti luoghi di cultura e di ragionamento vengono chiusi perché lasciati senza alcun supporto), isola testate e giornalisti che non rinunciano a raccontare tutte le realtà, mette in un angolo giorno dopo giorno qualsiasi pensiero critico.
Ma anche il talk show può andar bene se diventa un “minestrone”. Ecco allora Vespa apparecchiare improbabili e insopportabili salotti in cui si discute delle infedeltà di qualche ex protagonista del “Grande fratello” e degli scontrini di Marino, cercando sempre di dipingere tutto di rosa che fa evolvere il talk show in pink show… La traduzione politica di questa deriva è il futuro “partito della nazione”, saldamente posto al centro del sistema dei post-partiti, indicando le opposizioni come pericolosi populismi – il che in parte è vero – e cancellando ogni istanza che si possa realisticamente definire “sinistra”. In questo contesto “Mondazzoli” ci sta benissimo: nessuna persecuzione di autori scomodi, ma una progressiva selezione di nuovi autori graditi e funzionali al progetto. Un progetto che probabilmente contempla sempre meno la memoria e il ricordo della storia più recente, i valori della Liberazione, l’importanza di ricorrenze che in modo molto evidente vengono ormai fastidiosamente sopportate dalla classe politica attuale.
Tutto questo piace anche all’Europa, e in Italia è riassunto nel “mantra” che ci circonda tutti: non c’è alternativa. Forse è davvero così. Ma ciascuno di noi, come singolo o come gruppo, può continuare a testimoniare di culture e di sensibilità diverse, può non arrendersi alla monocultura dominante, alla quale purtroppo, come si è visto in occasione del caso Mondadori-Rizzoli, si sono ormai aggregati troppi protagonisti dell’editoria e di quello che un tempo era il mondo degli intellettuali.
Barbara Scaramucci è di Articolo 21
Pubblicato venerdì 16 Ottobre 2015
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