Addio a Giovanna Marini

Se ne è andata ieri sera, 8 maggio, a 87 anni a Roma, dove era nata il 19 gennaio 1937. Patria con Chiara Ferrari l’aveva incontrata qualche anno fa nella sua casa ai Castelli romani.

Figlia d’arte: «Venivo da una famiglia di quattro generazioni di musicisti: padri, madri, zie, zii. Si parlava solo di musica. Io e i miei fratelli ci sentivamo diversi in mezzo agli altri, ci comportavamo in modo differente, perché venivamo da un mondo altro». Studi classici importanti anche all’estero, in Inghilterra, e le prime scelte coraggiose: «Quando decisi di abbandonare il pianoforte per la chitarra è stata una tragedia per la mia famiglia. È uno strumento minore, uno strumento da posteggiatori, mi dicevano».

Paolo Pietrangeli al centro, con Francesco Guccini e Giovanna Marini

Poi il Folkstudio, locale capitolino mito della nuova musica popolare, dove si esibiva con Bach, e i viaggi a Milano  i viaggi in America. Così arriva alla sua rivoluzione: «All’inizio io suonavo Bach al Folkstudio, non avevo canti popolari – aveva precisato Giovanna –. Poi mi hanno regalato un libro, me lo sono studiato e ho cominciato a trafficare sulle ballate piemontesi. Un giorno si è presentato Roberto Leydi perché al Folkstudio doveva arrivare Pete Seeger, così io venni coinvolta per tradurre la sua intervista. Mi chiese di andare a Milano per cantare con il Nuovo Canzoniere Italiano. Andai e in una sera conobbi Ivan della Mea, Paolo Ciarchi, Giovanna Daffini, Sandra Mantovani, Fausto Amodei. Pensai subito che fosse un gruppo di persone speciali, di estrema intelligenza: Gianni Bosio che parlava come un libro stampato, e poi Luciano della Mea, Michele Straniero, i teorici. Ero colpitissima da tutto ciò. Un mondo di cultura, di storia, di intelligenza, era lì alla Casa di Cultura di Milano. Era un movimento grandioso».

E raccontando a Chiara Ferrari aveva proseguito: «La qualità, comunque, che mi colpì di tutta questa gente era la grandissima umanità, qualcosa che nel mondo della musica classica non avevo mai trovato. La musica classica è fatta di individualismo, mentre io sono interessata al genere umano, quasi più che al suono. Alla fine sono tornata nel piattume romano e ho cominciato a inventare canti popolari perché pensavo fosse così che si faceva: io sono popolo e allora faccio un canto popolare. Naturalmente il primo che scrissi partiva dall’arpeggio di re minore e un esperto capiva subito che non era affatto un canto popolare. Ma a quell’epoca non si era ancora esaminato tanto quel genere per comprendere come la musica potesse accompagnare. È stato comunque molto interessante per me e piano piano mi sono fatta una cultura da autodidatta, anche perché all’epoca non si studiava questo materiale. Poi, lavorando con Leydi, Bosio, Straniero, ho imparato tantissime cose».

Più tardi la Scuola di musica popolare di Testaccio, fondata nel 1975, frutto di una scelta: «In Italia negli anni Cinquanta-Sessanta ci fu un movimento enorme attorno alla canzone popolare, un movimento partito dai grandi intellettuali. Cesare Pavese, Italo Calvino, Pier Paolo Pasolini erano uomini di cultura, antifascisti legati a un’idea politica, una fede politica vera. C’era da vincere la guerra, da buttare fuori i tedeschi, bisognava raccogliere tutte le forze possibili. Quegli intellettuali erano rappresentanti eroici per noi cantautori. Da lì, infatti, da quel mondo, da quelle loro parole, dalle loro letture, siamo tutti provenuti».

Sul palco del 25 aprile 2023 a Roma

Il rapporto con personalità quali Gianni Bosio, Roberto Leydi, Emilio Jona che aveva raccolto per primo i canti popolari, seguito da Michele Straniero. E piano piano quel lavoro era entrato nell’interesse degli italiani, ricordava Marini.  «Un lavoro molto legato al fatto sociale, radicato nella popolazione, sentito dalla popolazione come parte di una lotta. Contro la violenza e la sopraffazione del nazifascismo. Negli altri Paesi questo non c’è stato. I giovani stranieri quando sentono noi italiani raccontare i nostri canti, subito si emozionano, perché non hanno questo patrimonio. (…) L’Italia si deve ancora ricostruire. E questi canti hanno una funzione tuttora rilevante».

Addio Giovanna Marini, la tua voce e la tua chitarra ci hanno aiutato tanto a crescere, capire e lottare.

Qui per leggere l’intervista realizzata da Chiara Ferrari e ascoltare i brani.