Alberto e Angelo Vedaschi

Questa storia trova la sua conclusione dopo la mezzanotte, a trecento metri dall’abitato di Pietra de Giorgi (provincia di Pavia) con gli spari che ammazzano Alberto, 24 anni, e Angelo, 23 anni, fratelli, figli di Francesco e Maria Vedaschi; contadini.

Alberto e Angelo, militari di leva, nei giorni di settembre saranno disorientati e soli a dover scegliere da che parte stare. Hanno scavalcano il muro della caserma trasmutata in trappola mortale; si sono scaraventati su un treno in partenza, per poi buttarsene giù in una campagna, poiché gira voce che i tedeschi vogliano tutti i soldati italiani deportati nel Reich; continueranno a piedi, evitando i luoghi abitati, preferendo la notte al giorno, busseranno a cento porte indifferenti e sprangate, troveranno asilo in un chiostro di topi e di spettri, seguiranno una processione che, a sua volta, segue il prete con il rosario. Tra i mercati impoveriti, gli sterrati e gli incerti crocicchi, al bivio tra la resistenza o la resa, Alberto e Angelo incontreranno il cugino Luigi che si è già dato alla macchia.

I loro passi si affiancano ad altri cento passi in cammino verso un luogo nascosto, tra il cielo e i boschi della Valle Scuropasso. Nella valle che è una polveriera, un nascondiglio e un mobile fronte lungo cui passa la linea della nascente guerriglia, dal luglio ’44 Alberto e Angelo saranno partigiani della 87ª Brigata Garibaldina Carlo Alberto Crespi.

Da https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images? q=tbn%3AANd9GcTZ3O431ThTuSP4gYeXm MIHh9eFhzl5XOr0SuNzAJLtZW6hii9T

Adesso – fine dicembre ’44 – il rastrellamento che risale le colline è il Moloch che instancabilmente ruggisce e vomita fuori i suoi demoni a massacrare la terra inginocchiata, gemente come una bambina squarciata al ventre.

I due fratelli hanno perso il contatto con la brigata. Si fanno una tana.

Li vediamo sono infagottati, rabbrividenti, determinati a vivere.

“Però stanotte non sale nessuno”. Lo pensa Alberto e lo ha pensato Angelo? Stanno pensando ai loro compagni o ai loro aguzzini? Non lo sappiamo.

Ora coprono la tana, cancellano le tracce, e inevitabilmente prendono il sentiero, con lo zaino dondolante di dimenticata leggerezza e le braccia che ritmano il passo verso la loro casa di Pietra de Giorgi.

È la sera dell’antivigilia di capodanno, 30 dicembre. Anno 1944.

I fascisti poltriranno nella cuccia dell’albergo Savoia di Broni, come cani selvatici sognando uno stesso livido sogno? O avranno il cognac degli alleati tedeschi per le puttane con cui allestire una venefica pornografia in saluto dell’anno che verrà?

I fratelli già prendono la rincorsa, superano d’un balzo il campo, l’orto, l’aia, il gradino, la soglia, l’uscio di casa senza badare al ramo cui forse è appeso in segnale un brandello di stoffa e senza alzare gli occhi al cerchio di un corvo che, sempre più accosto, vola sopra le loro teste.

Entrano in casa.

Due ore dopo il padre Francesco sente un rumore, il ringhio di un cane, l’ala di un pipistrello incagliata alla persiana; forse una mano raspante alla porta. Con il sorriso del lupo, ecco, si fa avanti un vicino di casa, un uomo tranquillo e perbene, in regola con la vita e la stagione repubblichina. D’urgenza chiede di entrare. Il padre Francesco gli apre. Lo conosce. A volte, gli ha pagato da bere all’osteria del paese.

Il vicino di casa mostra le mani nude, ne allarga i palmi immacolati che mai si bagneranno di sangue.

Militi della “Sichereits-Abteilung”

Il lavoro sporco lo lascerà ai militi della Polizia italiana autonoma “Sichereits-Abteilung” che d’improvviso si profilano alle sue spalle. La spia si allontana; ha pattuito il suo compenso per dopo, quando l’operazione di cattura e fucilazione sarà avvenuta ed ora si appresta al sonno sereno di chi ha fatto il proprio dovere e reso onore alla patria.

L’interruttore fa clic. La lampadina brucia. La luce è nera.

Angelo e Alberto, a botte trascinati fuori, si chiamano uno con l’altro?

No, c’è silenzio. Un silenzio di piombo.

Il castello di Cigognola (da http://www.lombardiabeniculturali.it/ img_db/bca/1A050/1/m/149_pv039003.jpg)

Fucilati al muro appena oltre l’abitato, Alberto e Angelo non sapranno che quella notte altri compagni sono stati catturati, e, sotto tiro fascista, stanno passando presso i loro corpi caduti, per trascinarsi ancora, in fila incatenata, al castello di Cigognola, luogo di prigionia e di sevizie, per attendervi la parola di un fascista italiano che li chiamerà all’interrogatorio e alla tortura.

Dopo la Liberazione, il padre Francesco Vedaschi verrà a sapere che quel giorno di dicembre ’44, dopo la fucilazione dei suoi due figli, le pattuglie italiane della “Sichereits-Abteilung” hanno continuato a dar la caccia a renitenti e partigiani.

Riconoscerà nel vicino di casa il delatore, restato impunito, che ha consegnato e fatto fucilare i suoi figli.

La sorella Angioletta conserverà tra le proprie cose più care le immagini di Alberto e Angelo.

Noi vi restituiamo la loro storia, raccontata da Angelo Nazza, nipote dei due partigiani ammazzati a capodanno.

Annalisa Alessio, vice presidente Comitato provinciale Anpi Pavia