Prima di ogni altra cosa, credo che sia doveroso e indispensabile un caloroso e affettuoso ricordo di tutti coloro che dal 2011 ad oggi ci hanno lasciato, dirigenti e semplici iscritti. Purtroppo sono molti, anche solo i dirigenti, e dunque sarebbe impossibile elencare i loro nomi a uno a uno. Li unisco, dunque, tutti in un grande abbraccio, con un affettuoso ringraziamento per tutto ciò che hanno dato a noi e al Paese, nella certezza che con un minuto di silenzio vi assocerete tutti alle mie parole.

 

13227688_10204717540058645_563034684381696224_oPARTE PRIMA – Bilancio di un quinquennio

1 – Una relazione non può prescindere dal contesto storico-politico e quindi, volendo fare un bilancio della nostra attività nel quinquennio 2011-2016 non è possibile non fare cenno ai mutamenti avvenuti nel sistema politico italiano e in quello internazionale. Questo ci consentirà un approccio più sicuro anche al resoconto-bilancio del quinquennio, che è necessario fare con la dovuta ampiezza non tanto e solo per dar conto di ciò che si è fatto, quanto per informare chi ci seguirà, delle iniziative assunte, dei risultati conseguiti e di ciò che occorre approfondire o migliorare in avvenire.

Un bilancio, dunque, finalizzato soprattutto a fornire uno strumento di conoscenza, di esperienza e di lavoro.

Il documento base contiene già una prima parte di valutazione della situazione a livello mondiale e nazionale, e in riferimento al sistema politico. Vi è ben poco da aggiungere, perché la situazione, in questi mesi, non è granché cambiata, se non in peggio, per l’ulteriore avanzata del terrorismo internazionale, per la diffusione dei conflitti in aree importanti del Medio Oriente e del Mediterraneo, mentre continuano a crescere le tendenze xenofobe, razziste e nazionaliste in molti Paesi, anche tra quelli più “civilizzati”. Ma, in sede di bilancio, non si può non compiere un breve passo indietro, per richiamare i mutamenti avvenuti nel sistema mondiale, a causa di una crisi economico-sociale, che dopo aver raggiunto, forse, l’acme, non è ancora riuscita a ridursi a livelli in qualche modo accettabili, anche a causa dell’apertura di nuove fasi di scontro tra nazioni e all’interno di esse. Il fondamentalismo è avanzato e con esso tutti i suoi effetti più nefasti, rivelandosi sempre di più l’impotenza delle grandi organizzazioni che dovrebbero comporre e prevenire i conflitti nel mondo (l’ONU) e l’incapacità dell’Unione Europea di essere ed agire al livello di una vera Unione, in cui si compongono le diversità e si adottano linee conseguenti e sicure, non solo di politica estera, ma anche economica.

In Italia, poi, sono cambiati, rispetto al 2001, i Governi, per tre volte; e con cambiamenti di non lieve importanza. Da Berlusconi si è passati, nel novembre 2011, al governo “tecnico” di Monti; successivamente, al Governo politico di Letta e in seguito al Governo Renzi, tuttora in carica. Cambiamenti non da poco. Radicale, per certi versi, il primo (le dimissioni del Governo Berlusconi) perché doveva rappresentare la fine di un sistema autoritario, sferzantemente attaccato in tutte le relazioni e i documenti del 15° Congresso; assai meno radicale, peraltro, il protrarsi degli effetti di un lungo periodo di cattiva gestione della cosa pubblica (e perfino di quella privata); effetti che tuttora perdurano nel costume, nelle abitudini, nel pensiero di molti. Gli altri Governi, pacificamente diversi rispetto a quello di Berlusconi, richiederebbero un’analisi dettagliata e comparativa (fra loro), ma non mi sembra il caso di farlo in questa sede. Nella quale, invece, va sottolineato che dopo la caduta di Berlusconi e dopo le dimissioni di Monti, non si esitò a mettere mano, con pochissimo rispetto, alla Costituzione, con interventi non solo di aggiustamento, ma di rifacimento di intere parti, compreso perfino l’art. 138, quello che contiene le “regole” per le modifiche della Carta costituzionale. Furono nominati Collegi di saggi, prima da parte del Presidente della Repubblica e poi dallo stesso Governo, cominciando così uno stravolgimento destinato a durare, quantomeno sotto il profilo del fatto che delle riforme costituzionali dovrebbe occuparsi, in prima battuta, il Parlamento, mentre qui la palla sembrava passare a tutt’altri soggetti. Non voglio dilungarmi, ma voglio almeno ricordare che il tentativo di un ampio stravolgimento della Costituzione e perfino delle regole del gioco, fallì miseramente per cause endogene ed esogene, dimostrandosi, pertanto, con chiarezza che il tempo impegnato inutilmente a parlare, discutere, elaborare, “grandiose” riforme, avrebbe potuto essere dedicato con facilità a due riforme condivise dai più: la correzione del “bicameralismo perfetto”, con la semplice attribuzione alle due Camere di funzioni in buona parte diverse; e la legge elettorale, che era scandalosa, ma per abbatterla ci volle la mannaia della Corte Costituzionale.

In questo contesto, l’ANPI ha svolto appieno il suo dovere di difendere la Costituzione dagli “strappi” incongruenti e dannosi; di invocare la riforma della legge elettorale; di indicare le strade corrette e praticabili per riequilibrare quei rapporti sociali che la crisi aveva devastato, incrementando a dismisura le disuguaglianze. E non ha mancato, l’ANPI, di svolgere la sua funzione di “coscienza critica” anche sotto il profilo della critica ad un sistema politico in disfacimento e spesso degenerato, mentre con maggiore evidenza, si riproponeva sempre più seriamente la “questione morale”.

Per il resto, l’atteggiamento è stato di rispetto, allorché si trattava di adottare i provvedimenti necessari per neutralizzare gli effetti nefasti della crisi, e di critica allorché sembrava affermarsi la tendenza al liberismo sfrenato, che invece di correggere era capace solo di provocare disfunzioni e disuguaglianze.

Crediamo di poterci vantare di essere rimasti noi stessi, l’ANPI di sempre, con la sua autonomia e la sua indipendenza, quale che fosse il Governo in carica, svolgendo con attenzione e cura quel ruolo che il 15° Congresso ci aveva assegnato.

Mantenere questa linea è apparso un po’ più difficile nei confronti del terzo Governo, quello attualmente in carica, perché si è verificato, in taluni, il malinteso del “Governo amico”. Abbiamo ribadito più volte, con estrema fermezza, che non possiamo avere governi “amici” e che non possiamo concepire, in linea di principio, una “inimicizia” di fondo nei confronti di un Governo, o comunque, di una qualsiasi istituzione del Paese, a meno che ci si trovi di fronte a comportamenti di carattere schiettamente fascista o populista, o comunque autoritario.

Ma questo non è accaduto; e tuttora conserviamo una linea che non è mai di critica aprioristica, ma di discussione e di critica esclusivamente sulle singole iniziative e sugli specifici comportamenti che ci sembrano meritevoli di essere messi in discussione o anche, nei casi più gravi, duramente contestati.

Ho parlato di una maggiore difficoltà perché questo Governo – coincidendo la Presidenza del Consiglio con la Segreteria del partito di maggioranza – ha risvegliato in alcuni (anche nell’ANPI) il senso di “appartenenza”, per cui le critiche sono risultate dolorose e le scelte di aperto contrasto hanno determinato resistenze e difficoltà perfino di confronto.

Su questo terreno ci siamo mossi con l’attenzione e la delicatezza del caso. Non abbiamo mai ceduto di un millimetro sulle posizioni che ritenevano giuste, ma abbiamo cercato di capire i dubbi, le perplessità e le contrarietà e di rispettare le posizioni di ognuno, proprio in considerazione del fatto che siamo un’Associazione pluralista. Abbiamo contrastato, però, le posizioni di contrapposizione aprioristica ed apodittica; ed abbiamo, non poche volte, richiamato al rispetto delle regole che devono reggere una Associazione come la nostra. Insomma, abbiamo cercato di essere l’ANPI, quella della tradizione e quella della “nuova stagione”, in piena autonomia e indipendenza, ma senza rotture traumatiche. Francamente, penso che ci siamo riusciti, se è vero che siamo giunti fino al voto – nel Comitato nazionale – solo in due occasioni: quella di una manifestazione (il famoso 12 ottobre, a Roma) alla quale si decise di non aderire; e quella sulle Riforme costituzionali e i referendum. Ci fu, per entrambe, un’ampia discussione e si dovette concludere – nel Comitato nazionale – col voto (praticamente, tutte le altre decisioni, per ben cinque anni, sono state adottate – dopo ampia discussione – all’unanimità), ancorché con un divario notevole: sul 12 ottobre, la stragrande maggioranza si pronunciò confermando la decisione adottata e ci furono solo un voto contrario e due astensioni; sulle riforme ed i referendum, la votazione decisiva si espresse con venti voti a favore della proposta di aderire e tre astensioni. Un risultato positivo, in entrambi i casi, determinato dall’ampiezza del confronto, dalla lealtà e dal rispetto di tutte le posizioni. Non, dunque, rottura, neppure negli effetti postumi. Ovviamente, chi aveva idee diverse da quelle della maggioranza, non le ha cambiate, ma quasi tutti si sono adeguati, rispettando le regole del nostro Statuto, del Regolamento e della democrazia.

Ci sono alcuni che continuano ancora oggi a scrivere lettere (in diversi casi “aperte”), chiedendosi perché mai “Smuraglia” abbia deciso questo o quello e contestando, per la verità con argomenti così modesti che talora rasentano l’offesa, soprattutto la decisione di aderire al referendum. Ma sono pochi, tanto che ben altra è stata la discussione – anche su questo tema – svolta nei Congressi; e sembrano isolati, proprio perché talora cercano di rompere l’isolamento inviando le loro lettere critiche non ai veri destinatari, ma a un certo numero di indirizzi, a noi sconosciuti. Questo, per me, è soltanto un esempio di malcostume e non di divisione. Questa ANPI, di cui siamo orgogliosi, è perfettamente capace di andare avanti e svolgere le sue azioni con fermezza, anche con la diversità di opinioni tipica di una Associazione pluralista.

2 – È stato dispiegato in questi anni, un intenso lavoro, prima di tutto, sulla memoria, o – per essere più precisi – sulla memoria attiva, in primo luogo cercando di diffondere, far conoscere e acquisire questo concetto, importantissimo per il nostro presente, ma anche per il futuro dell’Associazione (e del Paese).

Tenendo conto dei risultati più recenti della storiografia e della elaborazione che risulta da molti scritti di storici, di studiosi locali e di “testimoni”, abbiamo cercato di precisare alcuni punti fermi, che debbono ritenersi ormai acquisiti in tema di Resistenza.

Il primo: per “Resistenza” non possiamo né dobbiamo intendere solo quella armata, ma occorre attribuire il ruolo che le compete, per averlo effettivamente svolto, anche alla Resistenza non armata; il tutto riconoscendo anche l’importanza dei rapporti di assoluta intrinsecità che esistevano tra queste due forme fondamentali, rapporto che va chiarito e precisato, se non si vuole ridurre la Resistenza non armata ad un’azione di semplice solidarietà umana.

In realtà, il contributo dei tanti e delle tante che collaborarono al riscatto, dopo l’8 settembre, con l’aiuto a prigionieri e fuggiaschi, con atti di vera e propria “vivanderìa” a favore delle brigate partigiane operanti in luoghi in cui era difficile l’approvvigionamento di viveri e di armi, con l’opera di assistenza ai feriti, ai partigiani, alle loro famiglie, con l’aiuto prestato agli ebrei, sottoposti a dure persecuzioni anche durante la Repubblica di Salò, con l’aiuto agli “sbandati”, renitenti alla leva, insomma, per tutto ciò che non sto ad elencare ma è ben descritto in un libro, troppo poco conosciuto, rispetto ai suoi meriti (Ongaro – Resistenza non violenta 1943-45 , Ed. 2013).

Un’opera immensa e spesso decisiva, talora isolata ma sempre ispirata a quel sentimento di libertà e di solidarietà che fu fondamento di tutta la Resistenza. Inutile dire, ma ne parlerò più avanti, che di questa parte della Resistenza furono protagoniste fondamentali le donne, oltre ai tanti cittadini comuni, ai contadini, ai sacerdoti.

Il secondo: la Resistenza è termine molto ampio, ma in essa bisogna comprendere tutte le forme di contrapposizione all’autoritarismo e alla dittatura, e dunque gli scioperi del 1943-’44, gli internati militari che – trattati come schiavi – ebbero la forza di non piegarsi, i militari che, dopo l’8 settembre, rifiutarono di sottoporsi all’invasore e pagarono, in moltissimi casi e in misura numerica assai rilevante, con la morte (Cefalonia, Leros, Kos e tante altre), i Comitati di resistenza che si costituirono in alcuni lager nazisti. Vanno compresi, sotto questa voce, i tanti giovani che, liberate le loro città, decisero di arruolarsi col Corpo Italiano di Liberazione, furono inseriti nella Quinta e Ottava Armata inglese e americana e combatterono fino al termine della guerra.

Il terzo: la partecipazione delle donne alla Resistenza è sempre stata, com’è noto, sottovalutata, riducendole al ruolo di comprimarie e comunque ad un ruolo secondario. Si è fatto il possibile per far conoscere e capire che il loro ruolo è stato determinante, sia che abbiano fatto la staffetta, sia che abbiano combattuto con le brigate partigiane, sia che abbiano larghissimamente partecipato alla Resistenza non armata. In ogni caso, abbiamo dimostrato, attraverso scritti e Convegni a livello nazionale, che si trattò della prima, vera e grande irruzione collettiva delle donne sulla scena politica e bisogna riconoscere, finalmente, senza se e senza ma, che senza di loro la Resistenza, forse, ci sarebbe stata ugualmente, ma sarebbe stata qualcosa di profondamente diverso e di diversa rilevanza anche per il futuro del Paese (non a caso, fu loro riconosciuto, finalmente, il diritto di voto appena un anno dopo la fine del conflitto).

Il quarto: La Resistenza è stata un fenomeno nazionale. Ci fu Resistenza anche al Sud, in forme spesso necessariamente diverse, non solo col contributo anche di sangue che gente del Sud diede combattendo con i partigiani nel Nord, ma anche con tante azioni di rivolta, di protesta, di rifiuto di sottomissione ai tedeschi. Su questo tema, abbiamo affidato ricerche ad alcune storiche, che le hanno condotte a termine con grande impegno e le hanno presentate in un Convegno che si è tenuto a Napoli nel novembre 2014. Ora esse sono raccolte in un volume, pubblicato di recente dall’editore Le Monier, col titolo La partecipazione del Mezzogiorno alla Liberazione d’Italia, un volume di altissimo valore storico e politico.

Il quinto: la spiegazione definitiva di una qualificazione spesso riferita alla Resistenza, che sarebbe stata contrassegnata da “luci e ombre”. Si è cercato di liberare la Resistenza sia dalla mitologia più enfatica, sia da quei pregiudizi accusatori sui quali alcuni scribacchini hanno fatto fortuna. Si è finalmente chiarito che ogni forma di resistenza, di reazione, di rivolta, di guerriglia, porta con sé anche contenuti di violenza; ma le “ombre” sono state, al massimo, frutto di gesti o di errori individuali, senza riuscire a scalfire il tessuto connettivo della Resistenza, che non è fatta di “luci” ma di una sola “luce”, che è quella dei suoi obiettivi fondamentali, perseguiti con coraggio e fermezza e con gravi rischi, quella – per citare Claudio Pavone – che non può che definirsi la sua “moralità”.

Siamo convinti di aver ottenuto, su questo terreno complessivo di ricostruzione del significato del valore della Resistenza, degli ottimi risultati, che occorrerà conservare e, semmai, potenziare.

3 – Un notevole sforzo è stato compiuto nel campo della formazione, nella convinzione che fosse necessario, per conservare all’ANPI i suoi più importanti connotati valoriali, formare in modo adeguato non solo i più giovani, ma anche i dirigenti, nonostante qualche, comprensibile, resistenza.

Si è tenuto a Parma, nel febbraio 2012, un corso “tipo” di lezioni di formazione politico-culturale, sul fascismo, la Resistenza, la Costituzione, sul dopo guerra e sulla stessa storia e identità dell’ANPI, oltre ad un ciclo sulla comunicazione.

Questo corso era riservato a un numero limitato di partecipanti, ma le lezioni, registrate, sono state pubblicate in un volume edito in proprio dall’ANPI che ha avuto una buona diffusione, anche se inferiore a quella che avrebbe meritato e sarebbe stato necessario. L’intento era, infatti, di fornire una base per corsi da realizzare in tutta Italia, utilizzando il libro come una sorta di dispensa. Di fatto, ci sono stati molti corsi, ma assai meno di quanti sarebbe stato auspicabile. Probabilmente, in alcune aree, non si è percepita l’importanza della formazione, necessaria per affrontare meglio la complessità delle situazioni politiche e superare i limiti determinati dalla progressiva assenza di testimonianze dirette. È un tema, comunque, su cui si è fatto il possibile, ma sul quale bisognerà lavorare ancora, e molto.

4 – Particolare attenzione si è dedicata ai giovani, cercando di stabilire contatti reali, di capirne le esigenze, di coglierne le potenzialità.

Abbiamo cercato anche di modificare, almeno in parte, i nostri strumenti di comunicazione, per renderli più accessibili e appetibili.

Abbiamo inoltre cercato, per comprendersi vicendevolmente di più, di provocare occasioni di incontro in cui ci si potesse parlare con franchezza e al di fuori dell’ufficialità e del formalismo.

Ricordo, in particolare, la “Garibaldeide” (tre giorni in Sardegna) e l’incontro di due giorni a Ventotene; di entrambi conservo tuttora un importante e positivo ricordo, con il rammarico di non averne potuto fare di più, per banali ragioni economiche.

Sono stati organizzati, in varie occasioni, incontri “liberi”, col Presidente, a Sassari, a Marzabotto, nel corso della festa nazionale dell’ANPI, a Palermo, a Cagliari, a Carpi (in occasione di altra Festa nazionale). Anche di queste occasioni resta un ricordo positivo e la sensazione che bisognerebbe riuscire a fare di più. I giovani rappresentano un universo spesso assai distante da noi, dai nostri modi di fare, di parlare, di essere; ma sono una risorsa straordinaria, che bisogna riuscire a impiegare e coinvolgere con ogni mezzo, ma soprattutto rendendo più evidente i “valori” su cui si basa la nostra azione e per i quali vale la pena di impegnarsi.

5 – Ci siamo occupati, molto, anche delle stragi nazifasciste. Non solo l’ANPI si è costituita parte civile in tutti i procedimenti avanti ai Tribunali militari in cui ci è stato possibile; ma si è svolta una grande azione per ottenere giustizia e verità nei confronti della Germania e dell’Italia. Ci sono stati non pochi successi. Abbiamo tenuto quattro Seminari e Convegni sulle stragi e abbiamo raccolto il nostro lavoro in una pubblicazione (“Le stragi nazifasciste, 1943-45”); abbiamo avuto incontri con la Farnesina, con il Ministero degli esteri tedesco, con l’Ambasciatore della Germania a Roma, per ottenere, quantomeno, riparazioni. Siamo riusciti ad ottenere il finanziamento da parte della Germania, dell’Atlante delle Stragi, operazione ormai completata, che sarà di grandissimo aiuto per gli storici e gli studiosi. Con altre Associazioni abbiamo ottenuto atti concreti di riparazione da parte della Germania, anche se bisogna riconoscere che, invece, su altri piani, come il riconoscimento e l’esecuzione in Germania delle sentenze dei Tribunali italiani, i risultati sono stati nulli, per la contraddizione che ancora esiste in Germania tra chi (è la maggioranza) ha fatto e vuole fare i conti col passato e chi, invece, resta ancorato a un nazionalismo esasperato e giustificazionista.

I prossimi anni ci diranno se si può fare ancora di più e soprattutto se si potranno ottenere ulteriori risultati.

Sul tema delle stragi, scarsi sono stati i risultati raggiunti nel nostro Paese, dove le Relazioni della Commissione bicamerale sulle cause di quello che è stato definito “l’armadio della vergogna”, non hanno mai formato oggetto di una pubblica discussione. Si è riusciti solo a ottenere una maggior libertà di accesso alla vistosa documentazione esistente, fino a poco tempo fa rimasta “secretata”; ma non è ancora tutto accessibile e soprattutto non si è ottenuta quella seria e approfondita discussione in Parlamento, che sarebbe stata necessaria, non solo per la verità, ma anche per una assunzione di responsabilità da parte delle Istituzioni, che avrebbe assunto il ruolo anche di una riparazione, oltre che di un contributo alla chiarezza e alla verità.

6 – Lo sviluppo della “cultura” dell’ANPI e della sua “reputazione” nelle istituzioni e fra i cittadini.

Si è lavorato intensamente per collaborare a ricerche, studi, riflessioni storico-politiche anche con alcune Università. Ne sono prova tre pubblicazioni fondamentali, in cui sono stati autori o partecipi le Università, storici, studiosi e la stessa ANPI. Mi riferisco al volume intitolato “La repubblica partigiana della Carnia e dell’alto Friuli”, frutto di una collaborazione con l’Istituto storico friulano e con l’Università di Udine, che riporta gli atti di un Convegno, tenuto appunto ad Udine, nel 2012, con l’apporto di molti studiosi, storici e docenti e concluso dal Presidente nazionale dell’ANPI, con un discorso su “Attualità delle repubbliche partigiane nel contesto complessivo della Resistenza”; il volume “1943, Strategie militari, collaborazionismo, Resistenza” (pubblicato nel 2015) che riporta la collaborazione tra l’Università di Padova, storici, docenti e l’ANPI e contiene un saggio del Presidente nazionale sul tema: “8 settembre: fine della Patria o inizio del riscatto?”; il volume su “La partecipazione del Mezzogiorno alla Liberazione d’Italia”, cui si è già fatto riferimento.

Ho fatto un esplicito richiamo a queste pubblicazioni, per evidenziare l’importanza dei rapporti tra l’ANPI, le Università e il mondo degli studiosi e in particolare degli storici.

Ma sul piano della “reputazione”, vorrei aggiungere solo poche battute.

Se ancora c’è qualcuno che ci pensa vecchi e legati solo ai ricordi, ci sono invece tanti che vengono all’ANPI proprio perché sentono un’aria nuova, impegnata per il bene comune. Lo vediamo da quelli che ci chiedono di iscriversi e da quelli che ci seguono con interesse, qualche volta anche criticandoci, ma apprezzando le nostre ragioni di fondo. Lo vediamo dalla crescente autorevolezza che ci siamo conquistati nel mondo delle Istituzioni, o almeno di alcune di esse.

Sono due anni che il Quirinale ospita la premiazione dei nostri Concorsi con il MIUR, con la presenza e l’intervento del Presidente della Repubblica. Lo scorso anno abbiamo concordato con il Parlamento e con il Presidente della Repubblica, una bellissima manifestazione, realizzata alla Camera dei Deputati, con la partecipazione, nei banchi, di tanti partigiani, giunti da tutta Italia e accolti dalla Presidente Boldrini con un affettuoso invito a non considerarsi ospiti, ma padroni di casa; e ricordo ancora la “familiarità” del contatto diretto tra i partigiani e il Presidente della Repubblica, sorridente e felice, come tutti, del resto, in quella grande occasione.

Il 6 maggio scorso, abbiamo avuto un altro incontro importante, alla Camera, per concludere la prima parte di un’esperienza di lavoro comune con il MIUR, nella più bella delle sale della Camera dei Deputati, con l’intervento della Presidente e la partecipazione di numerose scolaresche di tutta Italia.

Ed è da anni che il Presidente nazionale dell’ANPI viene invitato alla cerimonia-manifestazione inaugurale dell’anno scolastico, nel 2014 al Quirinale e nel 2015 in una scuola di Napoli; in queste occasioni abbiamo potuto distribuire ai presenti, in particolare agli studenti, un anno, il nostro numero speciale di “Patria”, dedicato al 70° e l’altro, la Costituzione italiana, con una breve introduzione del Presidente dell’ANPI, sui “valori” e sulla cittadinanza attiva.

Non si tratta di riconoscimenti formali, ma della conquista di un apprezzamento, del riconoscimento di una serietà e fedeltà ai valori fondamentali, di cui giustamente possiamo essere orgogliosi.

Un patrimonio e una ricchezza morale che non deve assolutamente andare disperso.

7 – Fondamentale e ragguardevole il lavoro che siamo riusciti a svolgere nelle scuole, soprattutto a seguito del Protocollo d’intesa col Ministero dell’istruzione, stilato nel 2014. Quel documento non solo ha aperto le porte della scuola in molti luoghi in cui ogni richiesta veniva respinta, ma ha consentito, con due concorsi nazionali, con l’iniziativa delle “lezioni” in dieci città e con la manifestazione conclusiva del 6 maggio scorso alla Camera, di contattare scuole e studenti, di suscitare interesse ed emulazione, di promuovere iniziative non solo per la conoscenza della storia più recente, ma anche per lo sviluppo della cittadinanza attiva e del senso e valore della partecipazione.

Certo, le scuole sono moltissime e l’Italia è grande: e dunque questi sono stati solo alcuni passi di un percorso che deve protrarsi e ampliarsi nel tempo, a partire dal rinnovo del Protocollo d’intesa, che verrà a scadenza il 24 luglio del prossimo anno.

8 – Ho parlato, nel paragrafo relativo alla Resistenza, dell’importantissima partecipazione delle donne nella Resistenza ed è stato giusto e doveroso farla emergere al massimo. Ma si è cercato di fare di più, di valorizzare il ruolo della donna, in generale, il diritto all’emancipazione, alla libertà, alla effettiva uguaglianza e parità. L’abbiamo fatto attraverso il lavoro del “Coordinamento donne” dell’ANPI, a cui si fa riferimento anche nel documento politico del Congresso, ma anche attraverso ricerche, incontri, seminari, convegni, tutti impostati al femminile, ma con la presenza costante non solo di non pochi uomini, ma dello stesso Presidente nazionale, a significare che non esiste un problema che riguarda solo le donne, quando si tratta del loro ruolo nella società, nella politica e perfino nella famiglia, perché siamo tutti interessati (o dovremmo esserlo) al pieno sviluppo di quel patrimonio irrinunciabile che le donne rappresentano nella società, da sempre, anche se per troppo tempo esso è stato misconosciuto.

Ricordo solo, fra gli altri, i Convegni “Donne e Resistenza” del 2011, “La violenza e il coraggio” (le donne e il fascismo) del 2013; “Donne che ricostruiscono” del 2014; e con particolare impegno e interesse, quello di Torino del 2015 sui Gruppi di difesa della Donna, accompagnati da ricerche storiche tuttora in corso e da un’ampia elaborazione, che ha valso anche la collocazione del progetto al primo posto dei vincitori del Concorso per il 70° della Liberazione.

Forse in questo campo, si sarebbe potuto osare di più, impiegare più donne negli organismi dirigenti dell’Associazione, incrementare il percorso del “Coordinamento” e così via. Vedo dai verbali dei Congressi che c’è stata una notevole avanzata di donne nei posti direttivi a livello delle Sezioni e dei Comitati provinciali; e lo considero un segnale positivo, anche per il lavoro futuro.

9 – Rinviando per ogni altro aspetto ad un quadro sinottico – che sarà allegato a questa relazione – delle iniziative, pubblicazioni, convegni, tenuti in questi cinque anni, mi avvio verso la conclusione di questa parte, riferendo il lavoro compiuto sul delicato, complesso e fondamentale tema dell’antifascismo.

Si è puntato, prima di tutto, sull’aspetto culturale della piena conoscenza di ciò che è stato ed ha significato il fascismo, contrapponendo una realtà fatta di dati ed eventi certi, ai tentativi reiterati di avallare la tesi di un “fascismo mite”. In ogni occasione, abbiamo ricordato non solo che cosa è stato il fascismo, ma come si è comportato con gli antifascisti, con gli ebrei, con i “diversi”, e quali effetti ha prodotto, in termini di perdite di vite umane, di distruzione dello Stato e del Paese.

A questo abbiamo aggiunto l’impegno a contrastare la diffusione dei movimenti neofascisti, sempre più presenti nelle città, nei paesi, sulla rete, nelle liste elettorali e perfino nelle botteghe, nei luoghi che si è cercato di consacrare alla memoria di Mussolini e del fascismo.

Non è stato e non è facile, perché – ne siamo convinti – non bastano le nostre proteste, le nostre grida di allarme, i nostri presìdi e i nostri cortei, se anche lo Stato non fa la sua parte e diventa davvero quello Stato antifascista che emerge da tutta la Costituzione.

Abbiamo dedicato lavoro, ricerche e confronti su queste tematiche, da soli e con altri (più volte con l’Istituto Alcide Cervi), incontrandoci con esperti, Magistrati, Sindaci, Presidenti di Regione. Abbiamo anche rivolto appelli pubblici alle più alte Autorità dello Stato. Di recente, dopo un Seminario a Gattatico, con l’Istituto Cervi, proprio sul tema della responsabilità delle Istituzioni, abbiamo prodotto un documento, con considerazioni e proposte circostanziate, che – con la Presidente del Cervi – abbiamo presentato e illustrato al Presidente della Repubblica, in una specifica udienza concessaci a questo scopo. Restano da incontrare i Presidenti di Camera e Senato (siamo in attesa di risposta alla richiesta di incontro) ed infine con lo stesso Presidente del Consiglio. Poi, verificheremo i risultati di questa “sensibilizzazione”.

Ma non possiamo nasconderci che, nonostante il grande lavoro compiuto, i risultati sono stati modesti. Le iniziative e le provocazioni continuano, anche se siamo riusciti almeno a contenere le più gravi e palesi ed anche ad ottenere condanne da parte dell’Autorità giudiziaria, però non possiamo essere soddisfatti, anche se riteniamo di avere la coscienza a posto. Ma su questo tema torneremo più avanti, in questa stessa relazione e quindi conviene fermarci qui.

10 – Debbo fare un accenno (anche se il tema tornerà ad occuparci in seguito) alla difesa della Costituzione.

Su questo piano, siamo stati di una intransigenza assoluta, contro qualunque iniziativa di stravolgimento della Costituzione e nei confronti di qualsiasi Governo che si impegnasse in questa direzione.

Abbiamo ripetuto fino alla noia che non siamo conservatori e non siamo contrari a qualsiasi modifica della Carta; abbiamo altresì chiarito che anche sulla questione della correzione del “bicameralismo perfetto” non abbiamo obiezioni, se davvero si tratta di correzioni e non di stravolgimenti.

Abbiamo sollevato riserve sull’utilità del lavoro dei “saggi” nominati in due occasioni, sottraendo uno spazio inesorabilmente riservato, in linea di principio, al Parlamento. Non abbiamo avuto esitazioni a entrare in campo contro la modifica, nientemeno, della regola delle regole (l’art. 138). E non ne abbiamo avute neppure quando si è delineato il progetto di riforma del Senato, che abbiamo ritenuto negativo e pericoloso, tanto più se accompagnato da una riforma illiberale della legge elettorale. Ne abbiamo fatto una questione di democrazia, a partire dal Convegno dell’aprile 2014, al Teatro Eliseo a Roma. E da allora abbiamo continuato in una battaglia che non ha concesso tregua, con prese di posizione, iniziative in tutto il Paese, appelli e lettere aperte ai Parlamentari e così via.

Quando si è prospettato il problema del referendum, ne abbiamo ampiamente discusso, in due riunioni del Comitato Nazionale (28 ottobre 2015 e 21 gennaio 2016) e alla fine abbiamo assunto la decisione di partecipare alla campagna referendaria per eliminare del tutto la legge di riforma del Senato e modificare, nella sostanza, la legge elettorale.

Abbiamo ritenuto che questo fosse il nostro dovere e che fosse necessario assumerci questa responsabilità, anche in un periodo per noi non facile e complesso.

11 – Infine, mi sembra opportuno richiamare la vera e propria svolta che si è verificata, nella seconda parte del quinquennio, sul tema dei rifugiati e dei migranti. Abbiamo sempre avuto attenzione a queste problematiche, ma nel quadro di una forte aspirazione alla pace e al rigetto di ogni forma di xenofobia e di razzismo.

Più di recente, abbiamo cercato di cogliere più da vicino il dramma dei tanti che, per varie ragioni, di paura, di persecuzioni, di timori di guerra, di fame, ma anche più strettamente di ricerca di lavoro, affrontano viaggi terribili e rischiosi. Abbiamo cercato di capire, di distinguere, di essere più vicini non solo alle ragioni del dolore, ma anche a quelle dei diritti (soprattutto dei diritti umani). Abbiamo ritenuto che fosse venuto il momento di occuparci anche del tema dell’inclusione, visto che ormai sono tanti quelli che vivono in Italia da anni, anche con famiglia, alcuni già con la cittadinanza riconosciuta, altri in attesa del riconoscimento.

Sui due fronti, ricorderò, per riassumere, due atti simbolici che abbiamo compiuto nel periodo più recente. Abbiamo invitato a parlare in Piazza del Duomo, a Milano, il 25 aprile, Giusi Nicolini, la Sindaca di Lampedusa, che da anni si prodiga per l’assistenza, l’accoglienza, il ricovero dei vivi che approdano a Lampedusa, in condizioni spesso disperate e provvede al rispetto dei troppi morti recuperati dal Mediterraneo. La Nicolini ha accettato ed ha parlato in piazza, con largo consenso, richiamando a gran voce il tema dell’accoglienza, dell’inclusione, della solidarietà.

L’altro atto è stato quello di concorrere ad un importane iniziativa di una Sezione torinese e dello stesso Comitato provinciale di Torino, in concorso con il Comune e con il Consiglio regionale: far tradurre la nostra Costituzione in arabo e consegnarla solennemente alla comunità islamica. Questo è avvenuto nella moschea di San Salvario, con una cerimonia toccante e significativa, alla quale ho voluto partecipare di persona, per dare un valore nazionale, simbolico e di esempio, ad una pregevole iniziativa locale.

Sarà anche poco, ma questa è la strada da percorrere, per essere all’altezza di un dramma immenso, dal quale l’ANPI non può e non deve estraniarsi.

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Naturalmente, ho detto solo l’essenziale, essendo ben noto l’impegno che abbiamo dedicato a molte altre tematiche (difesa della democrazia, rigenerazione della politica, antirazzismo, diritti umani, lavoro, dignità), la cui trattazione analitica avrebbe appesantito troppo la Relazione.

In conclusione, presentiamo al 16° Congresso un’ANPI in buona salute, con un numero di iscritti rilevante (oltre 120.000 anzi, per essere precisi, oltre 124.000, con l’aggiunta di quasi 900 tessere di “amici dell’ANPI”). Un dato fortemente superiore non solo a quello di altre associazioni, ma perfino dei partiti che ancora restano sulla scena.

Siamo strutturati su 107 Comitati provinciali e 1.482 Sezioni, di cui sette all’estero; 17 Coordinamenti regionali; 3 Responsabili di area. Assicuriamo la presenza in tutto il Paese, compresi gli angoli più remoti e quelli in cui, fino a poco tempo fa, l’ANPI era assolutamente inesistente o ignorata.

Gli stessi attacchi che abbiamo avuto di recente, dimostrano che richiamiamo attenzione e magari qualche preoccupazione, da parte di chi non vede di buon occhio, almeno alcune delle nostre posizioni.

Abbiamo, tra i nostri iscritti, un buon numero di donne (circa il 30%); ma riteniamo inadeguato questo dato e pensiamo si debba fare di tutto per migliorarlo. È in continua crescita la presenza dei giovani, ma anche in questo campo bisogna fare molto, ma molto di più. Significativo il fatto che abbiamo nuovi iscritti ogni anno; questo è un dato positivo, anche se occorre riconoscere che persiste ancora qualche difficoltà, sia nella stabilizzazione, sia nella trasformazione degli iscritti in militanti. Ma forse siamo troppo esigenti, nelle nostre aspirazioni al meglio, soprattutto se ci soffermiamo per un momento sui confronti, sempre a nostro favore.

Siamo vivi ed attivi ed in grado di guardare in faccia al futuro, se non con tranquillità, almeno con la consapevolezza del nostro ruolo e delle sue potenzialità per la difesa e l’attuazione della Costituzione e della democrazia.

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 PARTE SECONDA – I Congressi

A partire dalla fine di ottobre 2015 è iniziata la Campagna Congressuale, che si è svolta, secondo le regole e ordinatamente nei mesi successivi. Adesso siamo al Congresso nazionale e da un lato tiriamo le somme della discussione, e dall’altro decideremo del nostro futuro.

La prima notazione che si impone è che abbiamo dato un alto esempio di democrazia. In tutte le Sezioni, o quasi, si è tenuto il Congresso, con discussioni anche vivaci, ma senza problemi e in un’atmosfera di grande fraternità (complessivamente, 25/30.000 presenze). Finalmente la “politica” (quella maiuscola, vera) non gridata, ma fatta di discussione e di confronto; e finalmente il voto libero, senza voti di fiducia o altri vincoli che non siano le proprie convinzioni e il senso di appartenenza ad una Associazione in cui si crede. Senza iattanza, un esempio per tutto il Paese, che riscontro con piacere dall’esame dei verbali e che ho constatato direttamente nei sette Congressi cui ho partecipato come “garante”.

Non entrerò nel merito, ovviamente, se non per alcuni aspetti generali, perché ormai, su tutto il materiale raccolto in questa grande Campagna, sui documenti, sugli emendamenti, sugli ordini del giorno, si esprimerà il Congresso.

Devo però rilevare, con legittima soddisfazione, che il documento politico posto a base di tutta la discussione, ha superato l’esame più che brillantemente, ottenendo una maggioranza schiacciante di approvazioni e in moltissimi Congressi provinciali riscuotendo addirittura l’unanimità.

Pochissimi i voti contrari. Di maggiore entità, anche se – nel complesso – in numero modesto, le astensioni; facilmente comprensibili peraltro perché alcuni, propositori di emendamenti, avranno, presumibilmente, preferito esprimersi solo su un documento definitivo, completato, cioè, dagli emendamenti che il Congresso potrà approvare.

Anche il “tono” dei Congressi è stato più che apprezzabile; non ci sono state risse, né confronti animosi; ognuno ha esposto le sue idee ed opinioni (moltissimi sono stati gli interventi nei dibattiti), senza interruzioni e senza clamori.

Dunque, possiamo dire che è passata in pieno la linea conclusiva proposta dal documento base, sulle questioni principali, sulla identità e sul ruolo dell’ANPI.

L’esame dei numerosi emendamenti approvati dai Congressi provinciali dimostra che nessuno di essi incide sulle questioni fondamentali poste dal documento-base. Si tratta, per lo più, di emendamenti che chiedono rafforzamento di posizioni, una migliore specificazione di alcune tematiche, aggiungono – nel complesso – piuttosto che togliere. C’è una frase – per fare un esempio – che a molti non è piaciuta come tale e dunque si è proposto di sopprimerla; ma anche in quel caso si tratta di una frase modificabile con facilità, se – al di là della volontà degli estensori del documento – ha urtato qualche sensibilità.

Per il resto i punti principali su cui si è concentrata l’attenzione degli emendatori sono presto detti: fascismo e antifascismo; la scuola; il lavoro; la questione femminile; i giovani; tutte le tematiche legate a migranti e rifugiati; la pace; le guerre nel mondo; le sopraffazioni in alcune aree; e così via. Tutti temi che sono all’attenzione dell’ANPI da sempre, che il documento ha cercato di recepire, ma con la piena disponibilità ad integrare e/o modificare, ove occorra, perché sono tutte questioni delicate, in cui i problemi si pongono spesso in modo diverso, nel tempo, e sulle quali le preoccupazioni e le riflessioni, a tutti i livelli dell’ANPI sono costanti. Non ci saranno, dunque, preclusioni in tutti i casi in cui gli emendamenti possono spingere più in alto la nostra riflessione collettiva e contribuire ad aggiustare il tiro, se necessario.

Diverso è il problema quando si chiede all’ANPI di fare troppe cose che non le competono e che, se le facesse, snaturerebbero la sua identità.

Ma insomma, per tutto questo, c’è il Congresso nazionale; la Commissione politica esaminerà tutti i documenti pervenuti e sottoporrà proposte al Congresso, assicurando libertà di giudizio, disponibilità e consapevolezza. Alla fine, il Congresso deve risultare il frutto maturo di un grande lavoro collettivo, che si condenserà nel documento finale, ma dovrà necessariamente continuare, perché non c’è più nulla di statico, il mondo è in movimento e i problemi si propongono a ritmo crescente, obbligando a riflessioni e approfondimenti.

Il Congresso, d’altronde, non resterà insensibile, ritengo, anche ad alcune sollecitazioni a mostrare una maggiore attenzione a problemi delicati, come i diritti umani, i diritti individuali e di coppia, l’omofobia, l’impegno contro la tortura e così via.

Insomma si è raccolto un abbondante materiale e c’è stato un notevole contributo di tutta l’ANPI, per arricchire e ampliare i ragionamenti e per definire gli indirizzi dell’impegno futuro.

Tutto questo confluirà nel documento politico conclusivo, che – ripeto ancora una volta – deve uscire dallo “splendido isolamento” in cui talvolta è stato lasciato (o si è tentato di lasciarlo anche involontariamente). Il documento politico è e deve essere la guida dell’azione dell’Associazione ed il punto di riferimento costante del suo impegno quotidiano. Lo Statuto e il Regolamento ci dettano le regole; ma poi l’applicazione in concreto dei princìpi e delle stesse regole richiede un lavoro costante, che ha bisogno di riferirsi ad una fonte alla quale, per il fatto di essere frutto di un lavoro ampio e collettivo, non può che essere attribuita la massima autorevolezza.

Se avessi potuto esprimere un desiderio, avrei richiesto maggiore attenzione al tema della formazione che, in una fase di ricambio generazionale, è di estrema importanza per tutti; così come alle tematiche dei giovani, che non possono essere solo enunciate, ma meritano approfondimenti, esplorazioni e sperimentazioni continue. Infine, avrei ritenuto opportuno un maggior sviluppo del tema della informazione e comunicazione, certamente presenti nel dibattito, ma ancora troppo in termini generali e non specifici. Così come si sarebbe imposta una maggiore riflessione sui problemi economici, che sono fondamentali per la nostra esistenza e soprattutto per le nostre concrete possibilità di assumere iniziative.

Di rado ho sentito ricordare la sottoscrizione nazionale per le spese del Congresso nazionale, pur rilevanti; ho sentito parlare poco del 5×1000, che ugualmente costituisce un problema, perché è una fonte di finanziamento necessaria ed importante al tempo stesso, fondata sulla volontarietà e senza alcun sacrificio.

Temo che non sia ancora chiaro a tutti che viviamo soprattutto di quote del tesseramento, che rappresenta un quadro sostanzialmente positivo. Ma se più iscritti concentrassero maggiormente i loro sforzi anche sul 5×1000 in favore dell’ANPI, potremmo realizzare più iniziative, più incontri con i giovani, rafforzando nel contempo le nostre strutture organizzative, troppo limitate rispetto a quanto sarebbe necessario, per affrontare adeguatamente tutti gli impegni di cui ho parlato.

Anche una pronuncia esplicita sui contenuti e sulla validità di Patria on line, tuttora in fase sperimentale, sarebbe stato utile, perché c’è davvero bisogno di conoscere il giudizio degli iscritti e di raccogliere indicazioni importanti per la migliore confezione e la maggiore diffusione.

Ma tutto questo, ne sono sicuro, emergerà dal Congresso nazionale, completandosi così quel lavoro imponente e importante che si è realizzato attraverso i Congressi di Sezione e provinciali. Occorre, peraltro, spendere qualche parola su una questione che non era inserita nel documento congressuale, per ragioni ovvie e più volte spiegate, ma che è finita, comunque, al centro di discussioni e di confronti, di cui ho apprezzato la complessiva serenità. Mi riferisco al tema dell’adesione che il Comitato nazionale del 21 gennaio 2016 ha deciso di dare alla campagna referendaria contro la riforma del Senato e contro alcune parti della Legge elettorale.

Discussione c’è stata, eccome, in quasi tutti i Congressi. Estranea, in via formale, rispetto alle tematiche del Congresso e tuttavia legittima e più che comprensibile.

D’altronde, il contenuto del documento base, nella parte relativa alla difesa della Costituzione (pagg. 19-21) era inequivocabile, nel senso che spiegava chiaramente le ragioni che impongono di difendere la Costituzione da stravolgimenti, senza peraltro restare fermi su posizioni conservatrici; e conteneva una critica piuttosto esplicita non solo alle riforme in corso, ma anche alle modalità di trattazione in Parlamento (voti di fiducia, restrizione delle prerogative del Parlamento, etc.), affermando che “su questo terreno l’ANPI si è mossa e si sta muovendo, con fermezza e con sostanziale unità di intenti”; il riferimento alle posizioni assunte a partire dalla manifestazione dell’aprile 2014, al Teatro Eliseo, a Roma, era assolutamente evidente. Ed ancora di più lo era la ferma osservazione che su questo terreno non sono ammissibili cedimenti o compromessi, “essendo in gioco la rappresentanza dei cittadini e dunque la democrazia”. Aggiungendo, poi, che “l’intransigenza non è un male, anzi è doverosa quando si verte su questioni di primaria importanza”.

Chiunque avesse letto queste pagine non avrebbe potuto immaginare soluzioni diverse rispetto a quella di impegnarsi nel referendum contro la riforma costituzionale in discussione. L’ANPI avrebbe perso ogni credibilità, perché dopo aver sostenuto questi princìpi in una battaglia, durata ben due anni, sarebbe stato quantomeno incoerente tirarsi indietro al momento delle decisioni conclusive.

Ci sono compagni che non hanno compreso questo aspetto, pur approvando il documento, ma conservando alcune perplessità, senza rendersi conto che la linearità e la coerenza sono qualità irrinunciabili per un’Associazione che vuole essere autorevole per i valori cui si richiama.

Mi sorprende un po’ il fatto che qua e là, in alcuni Congressi, si sia disapprovato il riferimento a una frase, di alcuni eminenti politici, neppure omogenei come collocazione. La frase aveva un valore significativo proprio perché pronunciata da persone autorevoli e in tempi insospettabili: nulla di più.

La verità è che qualunque persona di buon senso non avrebbe potuto trarre da quelle premesse altra conclusione che quella adottata dal Comitato nazionale, il 21 gennaio. Non mi pare che il Comitato nazionale sia stato smentito, se è vero che il documento è stato approvato a larghissima maggioranza e che, quando si è votato nei Congressi sul tema del referendum, a riguardo di documenti o emendamenti presentati nel corso del dibattito, la prevalenza dei favorevoli al NO è stata schiacciante (2.501 favorevoli e 25 contrari); quasi nulli i voti favorevoli al SI. C’è stato un certo numero di astensioni su quei testi, dimostrativo di qualche perplessità e – magari anche – di contrarietà, sul punto; sono comprensibili e apprezzo anche le astensioni che attestano che vi è una forte tendenza in favore dell’unità dell’ANPI ed una seria preoccupazione (la stessa che abbiamo avuto nei diversi Comitati nazionali che si sono occupati delle riforme), di evitare, in tutti i modi, spaccature. Il bene dell’unità dell’ANPI è prezioso; è sopravvissuto anche a questa modesta diversificazione di opinioni e sopravvivrà sempre, almeno fino a quando prevarrà – come spero – lo spirito di appartenenza su ogni altra valutazione.

Del resto, nell’unico caso di un Comitato provinciale che si è espresso contro l’adesione al Comitato per il NO, i risultati sono significativi: 18 favorevoli, 13 contrari e 5 astenuti; come dire che c’è stata discussione ed alla fine le posizioni di fondo (sommando contrarietà ed astensioni) sono state pressoché equivalenti. E vi assicuro che non è morto nessuno. La vita prosegue; e prosegue anche la campagna referendaria, con questi dati è pacifico che siamo più che incoraggiati a proseguire sulla linea intrapresa dal Comitato nazionale del 21 gennaio.

Questi sono i dati che emergono dal lavoro e dal confronto fin qui svolto. Li apprezzo, in quanto coerenti con la linea del documento, manifestando nello stesso tempo la massima comprensione e il massimo rispetto per le opinioni diverse, alla sola condizione dell’osservanza delle regole fondamentali dell’Associazione. Ma questo è un punto sul quale mi riservo di tornare più approfonditamente nella parte conclusiva.

PARTE TERZA – Le prospettive

Adesso, come già detto, la parola passa al Congresso e sarà la parola conclusiva, la guida del prossimo quinquennio.

Un cenno va riservato, peraltro, alle prospettive di fronte alle quali ci troviamo e di cui anche il Congresso non potrà non tenere conto.

I tempi non sono favorevoli all’ottimismo. Le guerre non cessano, anzi peggiorano, diventando spesso guerre contro i civili. La minaccia terroristica persiste e, di quando in quando, si fa più concreta.

È in atto uno spostamento a destra di molti Paesi europei, sulla base del peggior egoismo e della prevalenza di interessi particolari, rispetto a quello che dovrebbe essere il bene comune di un Europa unita.

Vi sono contraddizioni ed eventi preoccupanti. Nel Mediterraneo, tutto in subbuglio, due Paesi preoccupano in modo particolare. L’Egitto, per l’indirizzo autoritario che ha ormai assunto in modo definitivo; e il pensiero va, in questo caso, anche a Giulio Regeni, una delle vittime predestinate di un Governo sempre più invadente e repressivo. La Libia, dove un Governo, riconosciuto dall’Onu stenta a farsi valere assumendo i poteri che gli competono e dove ogni tanto si sentono, da lontano o da vicino, squilli di guerra.

Il problema dei migranti diventa sempre più difficile e crudele. Sbarramenti, muri, fili spinati sono i rimedi che si pensa di contrapporre ad una tragedia umana di portata incommensurabile. Si porranno sempre di più problemi di accoglienza, soprattutto per l’Italia, che è la più esposta. E non vanno dimenticate, almeno da noi, le tematiche dell’inclusione, visto che ormai gli stranieri che vivono stabilmente in Italia raggiungono il 10% della popolazione.

In un contesto simile, l’impegno per la pace deve essere prioritario, così come la contrarietà ad ogni tipo di guerra; ma altrettanto forte deve essere l’impegno sulla questione dei migranti e sulla questione dell’inclusione, oltreché – più in generale – per il rispetto dei diritti umani.

All’interno del nostro Paese, ai mille altri problemi dichiarati, annunciati, ma non risolti, si aggiunge una campagna referendaria che si vorrebbe trasformare in un plebiscito. Noi non connettiamo all’impegno per il NO questo carattere politico e continuiamo ad affermare convintamente che il problema non è la durata del Governo Renzi, ma quello della difesa della Costituzione e della democrazia. Ma non basteranno le parole, perché la lotta sarà dura. Lo si intuisce dalle prime avvisaglie, l’articolo di Rondolino, alcune battute che circolano o si fanno circolare sulla rete, di carattere fazioso e provocatorio, l’impegno dello stesso Governo in una campagna referendaria estremizzata. Non c’è dubbio che Renzi metterà in campo tutti gli strumenti, per vincere quella che considera una partita decisiva. Noi dobbiamo, con la nostra correttezza, con la nostra lealtà e con la massima apertura e nello stesso tempo con la massima autonomia e indipendenza, combattere questa battaglia seriamente e fino in fondo, per obbedire ad alcuni doveri inderogabili consacrati nel nostro Statuto.

Dobbiamo usare la forza degli argomenti, la semplicità delle spiegazioni, la chiarezza assoluta nella risposta ad ogni quesito. Dobbiamo organizzare banchetti (anche a questo fine, abbiamo raggiunto un accordo con l’Associazione più vicina e organizzata, cioè l’ARCI). Dobbiamo fare in modo che ogni nostro dirigente e attivista sia in grado di informare e spiegare la sostanza dei problemi su cui verte il referendum.

Stiamo raccogliendo materiali e daremo istruzioni, semplici ma precise, e auspico che vengano utilizzati appieno perché il tempo a disposizione è poco ed entro la fine di giugno, al massimo, la raccolta delle firme deve essere completata.

Qualcuno, anche fra noi, non è e non sarà d’accordo; lo sappiamo e riconosciamo non solo il diritto di pensarla diversamente, ma anche quello di non impegnarsi in una battaglia in cui non si crede. Ma non riconosciamo e non possiamo riconoscere il diritto a compiere atti contrari alle decisioni assunte; lo prevedono lo Statuto e il Regolamento, in modo nettissimo, l’obbligo degli iscritti al rispetto dello Statuto e del Regolamento e delle decisioni degli organismi dirigenti. Dunque, niente pronunce pubbliche per il SI, niente iniziative a favore o con i Comitati per il SI e nessun ostacolo, esplicito o implicito, alla nostra azione. Questo deve essere ben chiaro a tutti e deve essere fatto rispettare dai nostri dirigenti. Così come deve essere chiaro che questa è una battaglia che impegna tutta l’ANPI; siamo dunque interessati tutti, a che questo impegno finisca bene, con un successo delle nostre idee e del nostro lavoro. Risvegliamo un po’ di senso di appartenenza, non farà male a nessuno, anzi ci aiuterà a sentirci più forti ed uniti.

E sia chiaro, una volta per tutte: questa è una battaglia che conduciamo in piena autonomia ed in rapporto stretto con coloro, singoli o Associazioni, che sono inseriti nei Comitati nazionali.

Se poi ci sono altri, diversi da noi, che magari puntano allo stesso obiettivo, non ci preoccupa affatto, perché in materia di difesa della Costituzione sono ben possibili coincidenze piuttosto che alleanze, che possono essere anche utili al fine del risultato finale, ma non generano alcun tipo di compromissione, appunto, della nostra indipendenza.

Abbiamo ancora un altro problema, immanente e crescente, quello del neofascismo, che continua a imperversare.

Siamo tutti d’accordo nel non tollerare queste manifestazioni e nel contrastarle in tutti i modi leciti e non violenti. Anche su questo piano, so che ci sono pressioni perché si faccia di più, ma occorre anche il senso del limite e del realismo, connaturati alla nostra stessa identità. E questo non può essere inteso come opportunismo, perché non si ottiene di più se si chiedono cose impossibili o si battono strade impraticabili; ciò che occorre è fare sempre quanto necessario e concretamente idoneo a produrre risultati effettivi e non ipotetici e astrusi. Dunque, essere presenti e responsabili, in ogni occasione e contrastare ogni tentativo ed ogni manifestazione di tipo fascista, ma scegliendo, ogni volta, la forma più adeguata, anche perché, in questa battaglia, bisogna avvicinare e convincere i cittadini e non allontanarli. Come ho già detto, io continuo a essere convinto che dobbiamo ottenere che lo Stato divenga pienamente e sinceramente antifascista. Ci stiamo muovendo con decisione, su questo terreno, ma è dovere di tutta l’ANPI, appoggiare e sostenere questo impegno, con tutti i mezzi, ricordandoci che abbiamo anche il dovere di informare e far conoscere a tutti (e soprattutto ai giovani) che cosa è stato il fascismo. E bisogna profondere maggiori sforzi rispetto al neofascismo e al neonazismo europeo.

L’intento di realizzare un largo fronte antifascista europeo non è stato facilmente realizzabile, nonostante l’impegno della FIR, perché ci sono troppe diversità tra le Associazioni dei vari Paesi, di cui alcune ferme da tempo su atteggiamenti solo reducistici. Bisogna però insistere e bisogna farcela anche per contrapporsi in modo più fermo e unitario alle tendenze destrorse, fasciste, razziste e populiste, che si vanno sempre di più espandendo.

Dobbiamo intensificare il lavoro nelle scuole, che stiamo utilmente facendo, a seguito del Protocollo di intesa col MIUR, del quale bisognerà che si avvalgano di più anche i nostri organismi periferici. Bisognerà preparare attentamente il terreno per il rinnovo del Protocollo, che – com’è noto – andrà a scadenza nel luglio del prossimo anno.

C’è ancora un problema che ci aspetta e che voglio sottolineare con particolare forza, anche se è un problema interno alla nostra Associazione, e riguarda la sua vita e la sua attività. Con questo Congresso, sono cambiati molti organismi dirigenti, ci sono molti nuovi Presidenti e sono lieto di vedere che ci sono anche molte donne in posti di responsabilità. Tutto questo è bello e importante, ma ci pone alcuni problemi immediati. Il primo è quello di realizzare la continuità, soprattutto in una fase in cui viene progressivamente a mancare il contributo diretto dei partigiani.

Il secondo è quello dell’esperienza: siamo in una fase complessa della vita politica e della vita sociale e dunque i problemi che si presentano sono molti, anche per noi, alcuni addirittura inediti. Bisogna fare in modo che si acquisti rapidamente l’esperienza necessaria, attraverso il lavoro collegiale, la conoscenza di cosa è e deve essere l’ANPI, la formazione. Soprattutto quest’ultima è un chiodo su cui bisogna battere con forza, perché è il problema dei problemi e riguarda tutti, non solo i giovani. Ci sono gli strumenti, c’è il nostro volume sul corso di Parma, che può ben essere utilizzato per organizzare iniziative e anche come materiale di consultazione e conoscenza. So bene che il ricambio porta con sé il vantaggio della novità delle idee e delle esperienze; e questo è un dato altamente positivo; ma lo è pienamente solo se si riesce ad accompagnarlo alla continuità.

Infine, le regole. Non è una mia fissazione, è una necessità assoluta, quella del rispetto delle regole, soprattutto in una fase di cambiamento e rinnovamento.

Si tratta di un elemento imprescindibile per restare uniti e per meritare attenzione e reputazione. Ricordo un film bellissimo “I bambini ci guardano”; noi dobbiamo tenere sempre presente che ci guardano soprattutto gli adulti e che l’atto sbagliato, anche di un solo dirigente, può riflettersi sul buon nome di tutta l’Associazione. Questo, i vecchi partigiani lo sapevano d’istinto. Bisogna che lo apprendano anche coloro che subentrano e subentreranno, perché la spregiudicatezza non è un merito né un vantaggio, è semplicemente pericolosa. Ripeto, i rischi possono essere corretti non solo con la formazione, ma soprattutto col lavoro collegiale, di una collegialità vera e reale e non semplicemente prevista sulla carta. Bisogna crederci, alla collegialità, come un valore e regolarsi di conseguenza.

Infine, c’è il problema delle incompatibilità. Ci sono quelle di diritto, previste dal nostro Regolamento e a quelle bisogna attenersi, ma bisogna considerare anche quelle, per così dire, di fatto, che possono nascere dall’adesione ad altre Associazioni o addirittura a partiti. In questo campo non c’è nulla di vietato, ovviamente, ma c’è una regola non scritta, ma evidente, secondo la quale bisogna tenere sempre (anche dentro se stessi) ben distinte le appartenenze o le simpatie rispetto all’adesione all’ANPI, che ha un suo significato e valore pregnante e storico da non dimenticare mai, che si esprime anche col possesso di una tessera che ha un valore morale enorme, perché dentro di essa c’è tutta la Resistenza e ci sono tutti i caduti per la libertà.

Da ultimo, e non certo per ragioni di minore importanza, voglio soffermarmi un attimo su una questione di particolare rilievo: le strutture nazionali. Noi continuiamo a mettere in campo idee e iniziative e ad affrontare situazioni nuove (ad esempio, il referendum), sempre con le stesse strutture, validissime, meritevoli – soprattutto quelle che vengono da più lontano nel tempo – di una riconoscenza senza limiti. Tuttavia, così non si potrà andare avanti, perché chiediamo troppo a un volontariato che ha necessariamente dei limiti e chiediamo troppo a persone spesso neppure più tanto giovani, approfittando della loro totale disponibilità. Bisogna convincersi che il problema delle strutture è un problema politico, da risolvere al più presto, introducendo nuove energie accanto a quelle storiche che garantiscono l’esperienza e la conoscenza del nostro passato. Bisogna disporre di uno staff adeguato alla bisogna, oppure finiremo soffocati dalle nostre stesse idee e dalle incombenze nuove che via via si prospettano. A questo fine, non ho che da riportarmi a quanto già detto a proposito del tesseramento e del 5×1000.

Ci sarebbero molte altre cose da dire su ciò che ci aspetta e su come dobbiamo affrontare il “nuovo”, ma ho voluto toccare solo alcuni aspetti di particolare rilevanza e delicatezza, lasciando che sul resto sia tutto il Congresso a indicarci la strada e gli strumenti migliori per essere l’ANPI di sempre, quella che deve essere, sempre e comunque, se stessa.

Concludo, finalmente, con una considerazione personale.

Ritengo doveroso lasciare il posto che ho occupato in questi cinque anni, anche se mi dispiace farlo in una fase così delicata e complessa, perché stiamo parlando di rinnovamento, pur nella continuità e stiamo affrontando una dura battaglia in sede referendaria.

Lo lascio con rammarico e dolore, perché questi anni sono stati intensissimi, ma ricchi, con momenti di delusioni, dispiaceri e “grane” e momenti di grande soddisfazione.

Ho dato tutto me stesso all’ANPI, perché pensavo che la presenza attiva del Presidente, anche sul territorio, fosse una necessità e perché ero convinto che l’ANPI avesse bisogno di un punto di riferimento, vorrei dire, quasi quotidiano. Da ciò i 201, faticosi, numeri delle Newsletter. Ho sentito vicinanza e partecipazione; ho trovato, in moti casi, anche sincera amicizia. Ve ne sono grato. Getterò via le lettere, anche cattive, che talvolta ho ricevuto da dissidenti più o meno anonimi o comunque non conosciuti; e conserverò, soprattutto nel ricordo, gli attestati di stima, di rispetto e soprattutto di amichevole collaborazione.

Io spero che di me ricorderete almeno la disponibilità e la capacità di assumermi tutte le responsabilità necessarie, anche quando ciò era sgradevole.

Io ricorderò gli aspetti migliori di questi anni e questo mi terrà compagnia, parafrasando il titolo di un bel libro, “per quel che resta del giorno”.

Grazie.