Se non ci fossero state loro, le donne, operaie, braccianti, contadine, di pianura e di montagna, che si abituavano alle ‘cose da uomini’, e a poco a poco capivano ognuna secondo la propria intelligenza, con coraggio e con paura, che ‘così’ bisognava fare, che quella soltanto era la via da seguire, l’esercito partigiano avrebbe mancato di una forza viva, necessaria, spesso determinante”.
Renata Viganò, L’Agnese va a morire

Modena. Le partigiane sfilano dopo la Liberazione

Alla forza viva che ha combattuto “con coraggio e con paura” è dedicata questa panoramica sui canti della Resistenza intonati dalle donne, che li hanno ricercati o ricevuti in eredità, che li hanno ascoltati e memorizzati, che li hanno incisi e divulgati. Le donne, spesso dimenticate ed erroneamente escluse da questi repertori, con l’8 settembre sono entrate da protagoniste sulla scena della Storia. Loro, le invisibili, hanno combattuto, sono state staffette, si sono mobilitate in operazioni rischiose: nascondere i partigiani, sfamarli, rivestirli, aprire le porte delle loro case, aiutarli a fuggire. Tutte, dal nord al sud del Paese si sono arruolate in un esercito con e senza armi: “fanciulle in fiore o matrone già anziane, bambine e quarantenni precocemente invecchiate dalla vita”. Tutte, e di ogni classe sociale, racconta Benedetta Tobagi nel libro vincitore Premio Campiello, La Resistenza delle donne.

Partigiani lombardi

Anche Beppe Fenoglio dà loro spazio tra le pagine del suo romanzo Il partigiano Johnny: “Si resero utili, combatterono, fuggirono per la loro vita, conobbero strazi e orrori e terrori sopportandoli quanto gli uomini. Qualcuna cadde (…). E quando furono catturate e scamparono, tornarono infallibilmente, fedelmente alla base, al rinnovato rischio, alle note sofferte conseguenze, dopo aver visto e subito cose per cui altri o altre si sarebbero sepolti in un convento”.

Le donne sono state vittime di violenze e soprusi tanto quanto gli uomini. A volte anche di più. “Avevamo dato da mangiare agli affamati, alloggiato gli sbandati nelle caserme dopo il tragico 8 settembre e anche con i prigionieri evasi dai campi di concentramento avevamo fatto lo stesso – racconta Tosca Zanotti, di Biella, intervistata dalla Tobagi –. Per questa attività ‘banditesca’ sono stata arrestata il 23 novembre 1943 dai fascisti, insieme a mio fratello e altri undici uomini sotto l’imputazione di ‘appartenenza a bande armate e sovversione contro il potere dello Stato’ e naturalmente fummo spediti in galera (…) il tribunale decise che la fucilata dovevo essere soltanto io, in quanto unica donna in un gruppo di tredici persone, per dare un esempio e un monito a tutte le donne che aiutavano i ‘banditi’”.

Il battaglione Amelia sfila a Valdagno

In alcuni casi sono state vere e proprie guerrigliere. Come si racconta nel saggio di Sonia Residori, Sovversive, ribelli e partigiane. Le donne vicentine tra fascismo e Resistenza (1922-1945), nel Vicentino esisteva il battaglione Amelia, dal nome di battaglia di Cornelia Lovato, caduta nell’aprile 1945, formato da donne arruolatesi come volontarie nella Resistenza locale, partigiane della Brigata Stella. Combattenti e dinamitarde, subirono torture, sevizie, l’internamento nei campi di sterminio. Documenti d’archivio rivelano, poi, vicende di dissidenti, schedate come pericolose e costantemente vigilate; di “madri, mogli e figlie dei confinati politici che, rimaste prive del sostegno maschile, dovettero far fronte a miseria e solitudine”; di lavoratrici e massaie “che furono il fulcro delle proteste contro il regime, in prima fila negli scioperi e nelle sollevazioni popolari”.

Le donne combatterono anche cantando. Canti che furono composti nei giorni duri della lotta, degli eccidi, delle rappresaglie. O successivamente, a ricordo e memoria. Alcuni, recenti, opera di cantautrici. Tanti, tramandati di bocca in bocca.

Le partigiane Jole Mancini, 104 anni compiuti lo scorso 19 febbraio, e Luciana Romoli, a Roma, Porta San Paolo, il 25 aprile 2023

“Questa qui [I tedeschi ci chiaman banditi] l’ho imparata durante la Resistenza – dice Luciana Romoli, (nata nel 1930), in una intervista pubblicata nel volume Ribelle e mai domata, a cura di Alessandro Portelli e Antonio Parisella –. Insieme la cantavamo (…). La sera dopo il coprifuoco, se a noi per esempio il coprifuoco ci prendeva (che eravamo fuori), allora andavamo tutti a casa di un compagno (…) e cantavamo le canzoni, ma alcune ce le inventavamo pure”.

Sempre la Romoli, racconta di un altro canto, Addio mammina addio: “Questa l’ho imparata a Mensano quando sono andata a fare la campagna elettorale a Siena”. Il canto è infatti della Resistenza toscana, rielaborato sull’inno risorgimentale Addio mia bella addio:
Se tu sapessi o mamma/quanti compagni io trovai lassù/già tutta la montagna/è presidiata dalla gioventù./Canti di gioia come una festa/anche se infuria peste e tempesta/la bomba sempre pronta alla mano/il distintivo è del partigiano.

In Veneto, l’album Nostra legge la libertà. Canti dell’antifascismo e della Resistenza nel vicentino (Comitato Anpi provinciale di Vicenza, 2023), nasce a partire dalle ricerche sul campo svolte dal Canzoniere Vicentino, formazione attiva dagli anni Settanta dedita al recupero del canto popolare. Le ricerche hanno rivelato il permanere nella memoria di numerosi canti antifascisti, spesso raccolti da voci di donne. Che a volte, insieme, li composero.

È il caso di Nella cantina un tanfo, trasmesso da Lorena Garzotto, che l’aveva registrata durante un’intervista (effettuata nel 2010) a Elisa Gasparotto Montemaggiore, partigiana nata a Salcedo nel 1923. La Gasparotto – si legge nelle note all’album – arruolata nella terza compagnia della Brigata Mazzini Martiri di Granezza, venne catturata dai fascisti e portata alle carceri di Bassano. Venne rinchiusa assieme ad altre dieci ragazze in una grande stanza al piano terra mentre i numerosi maschi erano stipati nella sottostante cantina. Durante un interrogatorio venne minacciata di essere impiccata se non avesse rivelato i nomi dei partigiani suoi compagni (…). Con alcune compagne di cella ebbe la forza di spirito di comporre alcune strofette sulla loro condizione, adattandole alla melodia di una canzone allora in voga, La strada del bosco.

Molte, poi, si sono riunite in formazioni a più voci; tra queste le mondine, che hanno fatto del canto collettivo un’esperienza di emancipazione. Negli anni settanta nascono numerosi i cori sollecitati dall’intensificarsi della ricerca sul canto popolare, rivolta al repertorio di risaia, ma anche a quello politico e della Resistenza che le mondine ben conoscono.

Come le mondine di Bentivoglio che nell’album del 2022 Aven ciapè una bessa (Canti di lavoro, di lotta e d’amore) intonano una toccante Noi partigiani bolognesi, composto sulla melodia del canto irredentista Dalmazia (cantata prima dagli Arditi e poi dai dannunziani).

O il Coro delle mondine di Lavezzola, della Bassa Romagna, che canta Cime nevose, sulla melodia del canto friulano Ai preà le biele stele e le sant del Paradis (dal volume Noi siamo canterine antifasciste di Cristina Ghirardini).

Sono loro a riproporre in versione corale anche il brano di Fausto Amodei Per i morti di Reggio Emilia, scritto nel 1960 per le vittime di quel luglio di contestazioni al governo Tambroni, di fatto un canto dal fortissimo legame con la Resistenza.

Il Coro delle mondine di Novi alla Resistenza dedica molteplici concerti e spettacoli come Pietà l’è morta (2009), ispirato alla tragica vicenda dei sette fratelli Cervi. Si riportano alla coscienza le sofferenze della guerra, i valori di quanti si ribellarono al fascismo. Uno spaccato di storia accompagnato da tradizionali canti popolari e partigiani. Come Fischia il vento, Figli di nessuno, Compagni fratelli Cervi, Bella ciao, Il bersagliere ha cento penne, Per i morti di Reggio Emilia.

Adriana Filippi, “Visione di Boves in fiamme”, 1943, pastello colorato su carta, cm-54×71,5

Poi ci sono le donne di Boves, Gruppo delle donne di Boves, che raccontano l’attacco mosso dai tedeschi il 31 dicembre 1943 contro la città cuneese, intonando Non ti ricordi il 31 dicembre, canto raccolto da Franco Coggiola e Matteo Deichman proprio da un gruppo di donne del posto, sull’aria di Non ti ricordi quel mese d’aprile o Addio padre e madre. Già il 19 settembre vi fu un’offensiva alla cittadina da parte di un battaglione di SS al comando del maggiore Joachim Peìper, di fatto la prima delle sanguinose stragi naziste, ordita per stroncare ogni organizzazione partigiana. A questa seguirono azioni di rappresaglia che portarono all’uccisione di centotrentadue cittadini e più di settecento case incendiate. (Cfr. R. Carli Ballola, La Resistenza armata, Milano, Edizioni del Gallo, 1965, p. 39). Il canto è inciso nell’album Con la guerriglia. Canti della Resistenza italiana 2 (I Dischi del Sole, 1975).

Nello stesso album la voce di Ada Bampa – una delle figlie del cantastorie Vittorio Bampa di Isola della Scala (Verona), che si esibiva soprattutto sulle piazze dei paesi veneti ed emiliani – raccolta da Roberto Leydi nel settembre del 1964, racconta la vicenda molto trattata nel canto popolare, del ritorno del reduce dalla campagna di Russia: Il reduce dalla Russia.

Ma ci sono anche le interpreti soliste, protagoniste del canto popolare, che si sono distinte negli anni del folk revival per la riscoperta dei canti del passato, diversi dei quali proprio della Resistenza.

Margherita Galante Garrone (Margot) voce femminile di Cantacronache, con questa formazione di intellettuali, studiosi, musicisti torinesi intona un vario repertorio di canti partigiani.

Nuto Revelli in valle Stura nel settembre 1944, comandante della Brigata Giustizia e Libertà “Carlo Rosselli”

Come La Badoglieide, (Canti partigiani, DNG, 1964) canzone satirica anti-monarchica su Pietro Badoglio. Secondo la testimonianza di Nuto Revelli il testo nacque la notte tra il 25 e il 26 aprile del 1944, da una improvvisazione sulla musica della canzonetta E non vedi che sono toscano? In un deposito per la conservazione del grano, a Narbona, antico abitato tra le valli Grana e Maira, alcuni partigiani della quarta compagnia di Giustizia e Libertà dopo un grosso rastrellamento, parteciparono alla stesura delle parole. Tra questi lo stesso Revelli, con Ivanoe Bellino, Alberto e Livio Bianco, Nino Monaco. Il testo ricorda diversi episodi della storia italiana di quegli anni: la Guerra d’Etiopia e il ducato di Addis Abeba, la guerra di Francia, la campagna italiana di Grecia, Grazzano, paese natale di Badoglio, dove si ritirerà a vita privata, la campagna italiana di Russia, il 25 luglio 1943, giorno della caduta del fascismo, i bombardamenti americani sull’Italia, l’armistizio di Cassibile, la fuga di Vittorio Emanuele III, la guerra di liberazione italiana. (Savona A. V., Straniero M.L., Canti della Resistenza italiana, Milano, Rizzoli, 1985). Il testo è canzonatorio e l’interpretazione di Margot rende con sarcasmo il sentimento di insofferenza, verso l’infido generale.

O Badoglio, o Pietro Badoglio/ingrassato dal Fascio Littorio,/col tuo degno compare Vittorio/ci hai già rotto abbastanza i coglion.

Margot incide anche la celebre Dai monti di Sarzana (Al Gran Verde Che Il Frutto Matura – Canti Anarchici Di Pietro Gori, I Dischi dello Zodiaco, 1977), canzone dei partigiani anarchici del Battaglione Gino Lucetti, attivo nel Carrarese e attorno a Sarzana. Il canto è stato riferito nel 1962 a Roberto Leydi da due partigiani di Carrara. Gino Lucetti fu l’anarchico che nel 1926 fece un attentato a Mussolini lanciandogli una bomba nei pressi di Porta Pia a Roma. Arrestato, venne condannato l’anno successivo dal Tribunale Speciale a trent’ anni. Nel 1943, mandato al confino a Ischia, morì sotto un bombardamento alleato (Savona A. V., Straniero M. L., p. 145).

Pietà l’è morta (Il Canzoniere Internazionale Dei Ribelli DNG, 1965) è un canto che commuove. Il testo, steso collettivamente dai partigiani di Nuto Revelli sui monti cuneesi, è scritto sull’aria Sul ponte di Perati e diventerà il canto della Iª divisione alpina Giustizia e Libertà, quando, dopo gli ultimi giorni del marzo 1944, il Comando aveva bandito un concorso per una canzone partigiana (Savona A. V., Straniero M. L., p. 338). Uno dei canti più dolenti in cui Margot, con il coro del Teatro Comunale di Bologna, riesce a mettere in scena tutta la desolazione del morire in guerra.

Dalla raccolta Canti della Nuova Resistenza spagnola, esito di un viaggio in Spagna alla ricerca di espressioni popolari di protesta al regime franchista, tra le tante, presta la voce anche a una canzone composta nel 1958 da un autore anonimo: Una cancion. Il canto presenta elementi ritmico-letterari molto usati nella canzone spagnola e in particolar modo in quella di genere politico e militare. Sono imparentati con certi altri ritornelli, come “trallallero trallallà” del folklore musicale italiano e di altri paesi, ma nella canzone spagnola assumono il rilevante significato poetico di riprodurre il suono di una grancassa, di un tamburo militare. (Canti della Nuova resistenza spagnola, Einaudi, 1962).

Una canzone / una canzone / riempie le strade / delle città. /Canta il martello, / canta il motore / e canta il braccio /lavoratore. / Ogni utensile / ha una canzone/. La canta l’uomo / mentre lavora. / Tutte le mani /stanno per sollevarsi. / Un solo pugno / tutte le stringerà. /Popolo di Spagna, / preparati a cantare. /Popolo che canta / non morrà.

Tra i canti scritti dopo la Resistenza, invece, Margot interpreta e mette in musica la poesia di Franco Fortini Canto degli ultimi partigiani (dalla raccolta Fogli di via e altri versi, Einaudi, Torino, 1946), sull’eccidio di Piazzale Loreto a Milano, dove il 10 agosto 1944 quindici partigiani e antifascisti vennero fucilati da legionari della Ettore Muti e da militi della Guardia Nazionale Repubblicana.

Canzone con immagini molto crude, che l’interprete torinese rende nella loro brutale oggettività, con il suo recitar cantando, senza interpretazione, come nello stile di canto brechtiano che Margot fece suo. Nel suo teatro epico Brecht richiedeva la non partecipazione dell’attore o del cantore, la non immedesimazione, ma il distacco dal testo e dal personaggio. L’attore doveva farsi portatore di un messaggio esplicito che l’ascoltatore doveva recepire senza filtri.

Più recentemente la cantautrice torinese compone la musica e interpreta Ballata delle donne, poesia del poeta genovese Edoardo Sanguineti (Mikrokosmos. Poesie 1951-2004, Feltrinelli, 2004) e la incide in Il vespero vermiglio (Nota, 2012). Nella seconda sestina, dai ricordi dell’adolescenza vissuta durante la lotta di liberazione, emergono due immagini di donne combattenti: una partigiana che è stata ferita, un’altra che è caduta. Due protagoniste di azioni di guerra che con il loro sacrificio, ancora dopo tanti anni, trasmettono al poeta pensieri di pace, perché è per conquistare la pace che si sono battute. Concetto che il poeta esprime nel verso: “femmina penso, se penso la pace”.

Giovanna Daffini, grande voce popolare della provincia mantovana poi trasferitasi a Gualtieri (Reggio Emilia), incide diversi canti della Resistenza, molto diffusi in terra emiliana.

Tra questi Brigata Garibaldi, canto composto collettivamente da un gruppo di partigiani reggiani della divisione Aristide sui monti presso Castagneto di Ramisèto (provincia di Reggio Emilia), parole scritte nella primavera del 1944 sull’aria di una vecchia marcia fascista, con una ritmica molto scandita, cantata anche durante la guerra di Spagna (ma la cui origine più antica potrebbe essere ottocentesca e garibaldina). È considerato l’inno quasi ufficiale delle brigate garibaldine della provincia di Reggio Emilia, formazioni partigiane collegate al Partito Comunista Italiano (si cita il simbolo: la stella rossa). Numerosissime in tutta Italia, alla testa avevano personalità dotate di grandi qualità di comando, capaci di mantenere l’alto valore militare e la coesione dei reparti. Coesione che avveniva anche attraverso il canto, strumento utile ad accrescere il sentimento di unità e di fratellanza tra i giovani impegnati in battaglia. (ilDeposito.org)

Canto molto energico che aspira a diffondere gli alti principi della libertà, della civilizzazione e del cambiamento per i popoli dominati da un oppressore. Chi lo intona a piena voce manifesta la totale adesione a questi valori. Così è per Giovanna Daffini. (Canti della Resistenza 2, Dischi del Sole 1964).

Anche Compagni fratelli Cervi è riconducibile all’area reggiana. Le parole, infatti, furono composte dai partigiani del distaccamento Fratelli Cervi operante in zona, costituito fra il maggio e il giugno 1944. Fa parte dei numerosi canti che hanno adottato la melodia della vecchia canzone irredentista Dalmazia. I fratelli Cervi, partigiani antifascisti e martiri, diventano emblemi di riscatto, pronti alla lotta e al sacrificio per conquistare la libertà (Canti della Resistenza italiana, Dischi del Sole, 1964).

Festa d’aprile è un brano composto da Sergio Liberovici (compositore, critico musicale, tra i fondatori di Cantacronache) e Franco Antonicelli (saggista, poeta, scrittore antifascista) sulla base degli stornelli trasmessi da Radio Libertà, emittente clandestina dalla provincia di Biella che fu attiva dall’autunno 1944 all’aprile 1945, gestita da partigiani. Le trasmissioni comprendevano anche una parte musicale eseguita da una piccola orchestra e da un coro stabili che elaboravano stornelli, utilizzati come intermezzo nella lettura dei bollettini di guerra partigiani, delle notizie su avvenimenti locali e nazionali di rilievo, di lettere e saluti a casa (G. Lanotte, Cantalo forte. La Resistenza raccontata dalle canzoni, e G. Vettori, Canzoni italiane di protesta 1794 – 1974).

Canzone vivace, battagliera, perfetta per Giovanna Daffini che con l’energia e il vigore della sua voce rende il senso della vittoria, la gioia della imminente Liberazione. La si immagina alla testa di un corteo di partigiani in viaggio verso un radioso domani.

Dalla sua voce si ascolta anche Dongo, ballata nel tipico stile dei cantastorie raccolta da Michele L. Straniero tra i contadini di Collevalenza (Todi) nel 1962, che la intonavano su un’aria molto usata nelle canzoni narrative locali. Composta probabilmente subito dopo i fatti cui si riferisce, l’arresto e la fucilazione di Mussolini e della sua amante Clara Petacci, racconta eventi che facilmente potevano impressionare la fantasia popolare. “Non si tratta di una ricostruzione storicamente corretta dei fatti, – ricorda infatti Alessio Lega, autore di La Resistenza in 100 canti (Mimesis) – quanto piuttosto di una sorta di cronaca emotiva”. Daffini la incide in Canti della Resistenza italiana 5 (I Dischi del sole, 1964), a cura di Michele L. Straniero.

Ci sono poi eventi drammatici dei quali le canzoni si fanno memoria. Sull’azione di Via Rasella, a cui seguì la strage delle Fosse Ardeatine, brani originali sono composti da due cantautrici romane.

La voce popolare Gabriella Ferri, sulla musica di Ennio Morricone, canta il testo di cui è autrice, Via Rasella. Contenuta nell’album Ritorno al futuro pubblicato nel 1997, il penultimo prima della morte della grande ‎artista romana, avvenuta nel 2004.‎ La canzone risale però al 1973, anno in cui ‎Morricone compose la colonna sonora del film di George P. Cosmatos Rappresaglia, incentrato sull’attentato partigiano di Via Rasella e il successivo eccidio alle Fosse Ardeatine.‎ La canzone racconta soprattutto lo sconforto e la disperazione che seguì a quei fatti atroci. È una canzone sul silenzio che si abbatté sulla città vittima di un così grave crimine. Una città avvilita, umiliata da tanto orrore. Gabriella Ferri con le parole e le espressioni dialettali dà voce al popolo di Roma, alla mortificazione che subì, senza nessuna possibilità reagire a tanta violenza. I morti sono fratelli, recita il testo. Bisogna avere il coraggio di ricordare, e sulla tragedia tener una luce sempre accesa.

Sulle Fosse Ardeatine vi è anche un contributo raccolto a Cagliari nel giugno 2014, dalla voce della cantante, attrice e ricercatrice Clara Farina, inciso nell’album Calendario civile. Per una memoria laica, popolare e democratica degli italiani, a cura di Susanna Buffa, Sara Modigliani, Alessandro Portelli, Laura Zanacchi (Nota, 2019). Il canto ricorda Pasquale Cocco, sottufficiale di aeronautica di Sedilo (Oristano), ucciso alle Fosse Ardeatine. I versi furono composti nel 1999 da Tonino Sanna, nipote di Cocco.

Giovanna Marini, con il suo Le Fosse Ardeatine (La Torre di Babele, Nota, 2007) scrive, invece, una cronaca puntuale e tragica dell’eccidio in cui morirono 335 persone per rappresaglia, una ballata allo stile del talking blues.

Marini da sempre realizza cronache cantate di fatti reali, apprendendo lo stile parlato negli Stati Uniti quando vi andò giovanissima, conobbe alcuni gradi miti del folk revival (Pete e Peggy Seeger, Almeda Riddle) e ascoltò musicisti come Woody Guthrie e Leadbelly.

Le Fosse Ardeatine è, così, una narrazione oggettiva dei fatti che avvennero, ricostruiti attraverso ricerche, testimonianze, documenti, elenchi delle persone scomparse.

Nel suo repertorio vi è anche Il bersagliere ha cento penne, adattamento di una canzone militare, alpina, da parte di partigiani operanti sulle montagne liguri, nel 1944, che ne hanno fatto una canzone di lotta per la Liberazione. Lo si ritrova in tutte le regioni dove avvenne la Resistenza. In questo canto si afferma la superiorità del partigiano sugli altri soldati, quelli regolari, che non hanno scelto quella vita: il partigiano è povero, non ha penne sul berretto, ma combatte per la libertà (note al disco Questa seta che filiamo di Daisy Lumini e Beppe Chierici).

Versione con il Coro Inni e Canti di lotta dall’album del 2017 Ed un pensiero ribelle in cor ci sta!

La canta anche la toscana Daisy Lumini, in duo con Beppe Chierici, seguita da Col parabello in spalla, nell’album Questa seta che filiamo (1972).

La ricercatrice di canto popolare veneto, Luisa Ronchini nel 2001 incide l’album Una voce unica e sola (Nota) dove raccoglie parte del suo repertorio e vi comprende una versione della Canta di Matteotti. Il testo seguiva fedelmente la cronaca dell’assassinio del deputato Giacomo Matteotti, capo socialista, rapito per mano fascista il 10 giugno 1924 a Roma, il cui corpo venne rinvenuto il 16 agosto nella macchia della Quartarella (G. Ginestri – J. Carioli, Il canzoniere ribelle dell’Emilia Romagna, 1967). Il canto fu raccolto da Ernesto de Martino ad Alfonsine (Ravenna) da testimone  ignoto (Savona A.V., Straniero M.L, cit., p. 35). Ronchini ne fa una versione scarna, voce e chitarra, di forte pathos.

Dalla voce di Maria Carta si può ascoltare un’interpretazione molto intensa di Fischia il vento, incisa in un album dedicato ai canti politici e di protesta del mondo, Vi ricordo una storia assai vera (RCA, 1977). Una versione lenta, meditata, come un canto sacro, dove la Carta sembra declamare solennemente una preghiera. Tra le protagoniste più originali del folk revival, si dedicò alla raccolta e al recupero di canti religiosi della Sardegna risalenti anche al Medioevo, celebrazione di riti antichissimi, restituiti magnificamente dal suono mistico della sua voce.

Felice Cascione

Fischia il vento (1943) è tra le canzoni più cantate di sempre, inno ufficiale di tutte le Brigate Garibaldi del Nord Italia: furono delle brigate partigiane organizzate dal Partito Comunista Italiano, composte in prevalenza da comunisti, in esse militarono anche esponenti di altri partiti del CLN, specialmente socialisti. Il testo è opera dal giovane medico ligure, poeta e comandante partigiano, Felice Cascione. La melodia, invece, viene dalla canzone popolare sovietica Katjuša, composta nel 1938 da Matvei Blanter e Michail Isakovskij. Fischia il vento sarà diffusa dopo l’8 settembre 1943 tra l’alta valle di Andora-Stellanello in località Passu du Beu (Savona) alle spalle del Pizzo d’Evigno e successivamente sopra Curenna, nel Casone dei Crovi, nell’alta Valle di Albenga, dove era accampata la squadra partigiana comandata dal giovane medico ligure. A questa squadra comandata da Cascione si aggiunse Giacomo Sibilla, nome di battaglia Ivan, reduce dalla campagna di Russia, ove era incorporato nel 2º Reggimento Genio Pontieri. Nella regione del Don, Ivan aveva fatto la conoscenza di prigionieri e ragazze russe, e da loro aveva imparato la canzone Katjuša. Che portò con sé in Italia e al Passu du Beu ne abbozzò alcuni versi insieme a Vittorio Rubicone, Vittorio il Biondo. Le parole scritte da Felice Cascione poco tempo prima vennero adattate a quell’aria. (Savona A. V., Straniero M. L., cit., p. 187).

Numerose le interpretazioni, tra cui quella trascinante di Milva, che la incide in Canti della libertà (Cetra, 1965), album dedicato ai canti rivoluzionari del mondo.

Una versione strumentale con chitarra solista e fisarmonica – incisa nell’album Nella notte ci guidano le stelle. Canti per la Resistenza (Squilibri, 2023) – arriva da Portland, ed è opera di Marisa Anderson, straordinaria compositrice e polistrumentista originaria dell’Oregon. Artista impegnata su diversi fronti, sui temi dell’ambientalismo, contro il nucleare, nella battaglia per la restituzione di dignità ai nativi americani, fino al sostegno ai guerriglieri antigovernativi in protesta durante il conflitto del Chiapas nel Messico meridionale, ha voluto dare il suo contributo anche alla memoria della Resistenza.

Di Maria Carta, di nuovo nell’album Vi ricordo una storia assai vera, è anche una versione di Figli di nessuno, canzone scritta sull’aria di Noi siam nati chissà quando e Avanti siam ribelli, cantata dai reparti della 4ª divisione Giustizia e Libertà operanti nel Canavese (Piemonte). In diverse versioni viene cantata anche in Emilia, in provincia di La Spezia e in Piemonte (Savona A.V., Straniero M.L., cit. p. 182).

L’album Calendario civile. Per una memoria laica, popolare e democratica degli italiani, a cura di Susanna Buffa, Sara Modigliani, Alessandro Portelli, Laura Zanacchi (Nota, 2019), è una interessantissima iniziativa che si distingue per ingegno nell’ideazione e qualità artistica. Presenta una serie di canti partigiani intonati da voci di donne. Tra questi il celebre brano di Cantacronache dal testo di Italo Calvino, Oltre il ponte, interpretato dalla storica voce del canto popolare romano Sara Modigliani.

Con Susanna Buffa si apprezza anche Ero povero ma disertore, canto precedente il 1848, ma in uso, in diverse versioni, durante la Grande Guerra e nella Resistenza.

Napule, nun t’ ’o scurda’, canzone di Sergio Bruni, voce simbolo del Novecento napoletano, e del poeta e paroliere Salvatore Palomba, composta nel 1976 sulle quattro giornate di Napoli quando, dal 27 al 30 settembre del 1943, la città insorse contro i nazifascisti, è interpretata dalla voce di Isabella Mangani che duetta con l’incantevole violino di Vanessa Cremaschi.

 

Ginevra Di Marco, ex voce femminile di CSI e di PRG (Per Grazia Ricevuta), interpreta Montesole, scritta da Giovanni Lindo Ferretti e incisa nell’album Canti, richiami d’amore (2002), in memoria dei villaggi coinvolti nella strage di Marzabotto. Il 29 e 30 settembre 1944 gruppi nazifascisti uccisero 775 persone, tra cui donne e bambini. La canzone non è una cronaca cantata, non è una restituzione oggettiva dei fatti, è una riflessione di una giovane donna appartenente a una generazione che non ha vissuto la guerra, ma che dalla guerra e dalle stragi disumane trae, a distanza di tempo, considerazioni sulla morte, sulla vita che rimane, sulla libertà che va sempre difesa, mai data per scontata. Sulla forza di accettare il dolore a superarlo, sul sentimento della pietà che porta alla pacificazione. Canzone che obbliga a un ascolto profondo, alla necessità di dare un senso agli accadimenti.

Voglio cantare l’uso della forza che nasce dalla comprensione
La forza che contiene la distruzione
Una forza cosciente serena che sa sostenerne la pena
Capace di pietà, tenera di compassione
Capace di far fronte, avanzare, capace di vittoria, di pacificazione

Di Marco è anche autrice di Madre severa, incisa nell’ album Disincanto (2005). Ispirata all’eccidio partigiano di Montalto di Cessapalombo, in provincia di Macerata, 1943, è una riflessione sulla memoria e sul dolore di chi vive ancora oggi in un territorio che fu martoriato dalla guerra. La memoria è come una madre severa che ci consegna intatti alla nostra storia.

Successivamente, nell’album Appunti Resistenti (2020) in duo con i Modena City Ramblers, interpreta Pietà l’è morta.

Tra le interpreti provenienti da percorsi musicali alternativi, di ricerca di una poetica autoriale, anche Mara Redeghieri, cantautrice e voce di Üstmamò fino al 2003 (il gruppo venne prodotto dai due leader fondatori dei CCCP, Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni), con questa formazione nell’album Materiale Resistente (1995) canta Siamo i ribelli della montagna conosciuto anche come Dalle belle città, inno della III Brigata garibaldina Liguria. L’autore delle parole è Emilio Casalini “Cini”, assieme ai partigiani della Brigata; l’autore della musica, originale, è Luciano Rossi “Lanfranco” che la compose durante i turni di guardia (Savona A. Virgilio, Straniero Michele L.).

Anche Angela Baraldi, cantautrice bolognese, si inserisce nella scena musicale alternativa e nella storia dei CSI partecipando al tour Breviario partigiano, dei post CSI, uscito il 25 aprile 2015 nel DVD Il Nemico – Un Breviario Partigiano dedicato alla memoria della Resistenza e della guerra civile.

L’astigiana Lalli, invece, è autrice di uno dei brani più personali sul tema, traendo spunto dalla storia familiare. Brigata partigiana Alphaville (A mio padre), incisa nel suo album Tempo di vento (Manifesto, 1998), è dedicata infatti al padre partigiano che, in un 25 aprile in cui la storia si è fatta memoria, le chiede di cantargli una canzone partigiana.

Tra le iniziative più recenti, raccolte nell’album Nella notte ci guidano le stelle. Canti per la Resistenza, quella dell’attrice e cantante pisana Petra Magoni che, accompagnata dall’organetto di Alessandro d’Alessandro, offre una suggestiva reinterpretazione di Attraverso valli e monti, versione italiana di una canzone partigiana russa, Po dolinam i po vzgoriam, che veniva trasmessa in Italia ogni giorno da Radio Mosca, diffusa soprattutto tra i partigiani del Friuli Venezia Giulia.

Nello stesso album l’artista di Prato Serena Altavilla accompagnata da Paolo Monti dà forma e sostanza alla ballata rock Amore ribelle (Forno 1944). Una rivisitazione che nasce da una ricerca sul campo recente e che rivela la ricchezza di versioni e varianti interne al patrimonio orale dei canti popolari, in questo caso anarchici, restituitoci dalla memoria di una donna, custode di preziosi reperti: Alda Fruzzetti, di Forno, paese delle montagne apuane, che da bambina era stata testimone dell’eccidio nazifascista del 13 giugno 1944. La sola a conservarla ancora nella memoria.

Dall’album Partigiani! (Finisterre, 2014) del gruppo goriziano Zuf de Žur, interamente dedicato alla Resistenza si ascolta Il suo nome: bandito, brano originale che nasce dal testo tratto dai “Canti clandestini” di Carolus L. Cergoly, poeta e scrittore triestino, musicato da Mauro Punteri, e interpretato dalla voce femminile del gruppo Gabriella Gabrielli. Storia di un partigiano, torturato e ucciso, sul cui petto posero un cartello: Con la benzina sabotò la Decima M.A.S./o bella ciao, o bella ciao/viva la libertà.

In questo percorso tra creazioni originali e riproposizioni si distingue la cantautrice bresciana Valentina Facchini Soster, che dedica un intero album ai canti della Resistenza (Resistenti Incanti, A.N.P.I. Sezione Brescia, 2013) diventato poi lo spettacolo teatrale Di resistente bellezza, messo in scena con il collettivo Atrio Fustagno Teatro da lei fondato nel 2014. I canti partigiani sono restituiti con molta cura e rispetto, ma anche con originali tocchi d’autrice. Con lei si velano di un’atmosfera folk, gentile a aggraziata, che scaturisce dalle preziose combinazioni dell’ensemble strumentale, dove la chitarra acustica suonata dalla Soster dialoga con il violoncello di Daniela Savoldi, con la fisarmonica e con il pianoforte di Alessandro Foresti.

L’album, che si compone di undici tracce, comprende anche un canto originale, Carri armati quieti, composto, testo e musica, dalla Soster, il cui video vede la partecipazione, come narratori, della partigiana Rosy Romelli e del partigiano Lino Pedroni.

Vi sono canti della sua zona, tra cui l’Inno della 122 Brigata Garibaldi, manifesto della compagnia riconosciuta ufficialmente il giorno 4 ottobre 1944, operante in Val Trompia e negli immediati dintorni di Brescia, formata da circa cento uomini che subirono feroci rastrellamenti.

E poi Cosa rimiri mio bel partigiano, canto atipico, dalla struttura assimilabile alle canzoni narrative antiche proprie dell’Italia settentrionale. Il testo si adatta alla melodia del canto della prima guerra mondiale Cosa rimiri mio bell’alpino, calato nelle atmosfere di una triste fiaba in musica (Savona A.V., Straniero M.L.).

Briganti neri, che la Soster declina al femminile, è un canto partigiano molto popolare nell’Ossola, con alcuni elementi testuali tratti da L’interrogatorio di Caserio. Il testo e la musica sono editi in I canti popolari italiani, di Roberto Leydi (Oscar Mondadori, Milano 1973).

E poi Complainte du partisan, il lamento del partigiano, scritto a Londra nel 1943 da Emmanuel D’Astier de La Vigerie alias Bernard, comandante della Resistenza francese e musicato da Anna Marly, (Anna Yurievna Betulinskaya) che lo incise nel 1963.

Cantante e chitarrista russa stabilitasi in Francia dopo l’uccisione del padre a Pietroburgo, compose quella che venne definita la Marsigliese della Resistenza, resa poi famosa nel mondo da Leonard Cohen che la riadattò in The partisan.

La versione della Soster.

Dall’album del gruppo Zuf de Žur, Partigiani! (1994), la voce di Gabriella Gabrielli, insieme al musicista sloveno Vlado Kreslin, intona il brano La Brigata Garibaldi che unisce tre canzoni resistenziali: Le chant des Partisans, La Brigata Garibaldi e Bella ciao.

In questa trattazione si può includere anche la personale riflessione della cantautrice nata sulle Dolomiti e residente a Treviso, Erica Boschiero, sul significato di Resistenza oggi.

In occasione del 25 aprile 2022, dalla sua voce, insieme a quella dell’attrice e cantante basca Itziar Ituño (l’ispettrice Murillo della Casa de Papel) e della soprano kurda Mizgin Tahir (di Serekaniye), si ascolta, poi, una multilingue versione di Bella ciao.

Bella ciao, canto dalle origini misteriose, di autore ignoto e di ignoti percorsi, intrapresi nel lungo viaggio dentro l’oralità, che lo ha condotto a rappresentare gli alti valori del sacrificio per un ideale, per la salvezza della dignità umana offesa dalla barbarie, così sentiti da chi combatté contro il nemico invasore. Cantato dalle interpreti femminili ha la particolarità di ritrovarsi spesso unito alla versione mondina. Il Bella ciao delle mondine, composto da Vasco Scansani nel 1951 e reso celebre da Giovanna Daffini, è un lamento sulla fatica del lavoro in risaia, ma è soprattutto un canto di libertà che accoglie lo spirito dell’originario partigiano.

Giovanna Marini unisce la due versioni nell’album del 1984 La lega vincerà: Chants des paysans et ouvriers italiens (1884-1914) [https://www.youtube.com/watch?v=Tnb-kS0DbNw] e interpreta una dolente versione mondina nell’album La pigna minigna scattigna (Nota, 2008).

Anche la grande voce popolare ternana Lucilla Galeazzi fonde la due versioni nell’album Encore Bella ciao (Rue Stendhal, 2011).

Ancora Lucilla Galeazzi intona il Bella ciao delle mondine con Elena Ledda e Ginevra Di Marco nella ripresa per il cinquantesimo dello storico spettacolo Bella ciao che andò in scena nel 1964 al Teatro Caio Melisso di Spoleto. La versione partigiana è poi eseguita insieme alla voce di Alessio Lega.

Milva interpreta il canto partigiano in una splendida esibizione dal vivo (con il finale della versione di risaia) nel 1968 a conclusione dell’ultima puntata della prima edizione di Senza Rete, lo storico programma registrato all’Auditorium di Napoli,

e anche la versione di risaia nell’album Bella ciao (Ricordi, 1973).

La giovane interprete umbra Sara Marini lo incide in Decantoincanto (Radici Music, 2014), album dedicato al canto di tradizione.

Valentina Facchini Soster nell’album Resistenti incanti interpreta il Bella ciao delle mondine

e il canto partigiano solo voce e chitarra.

Paola Turci intona il Bella ciao partigiano in un concerto per Emergency a Livorno nel giugno 2013.

Tosca lo esegue alla trasmissione DiMartedì su La7, nel febbraio 2020.

E poi ci sono le rielaborazioni. Nell’album edito da Squilibri Nella notte ci guidano le stelle, la cantautrice Lalli interpreta una rara versione femminile inedita di Bella ciao, appresa da Carlo Pestelli da Floriana Deiana che la cantava ad Alba, da bambina, nel 1944.

Il Coro delle mondine di Porporana (frazione di Ferrara) formato da ex-mondine e lavoratrici cresciute in contesti sociali analoghi, ne realizza una versione del tutto originale chiamata Bella ciao delle donne. Il canto partigiano diventa un manifesto contro la violenza sulle donne, di cui la cronaca riporta quasi quotidianamente tragiche narrazioni.

Soliste, in coro, sono tante le donne che prestano e hanno prestato la voce ai canti della Resistenza, e chissà quante ancora oggi sono inascoltate. Grandioso è il loro contributo: nella scrittura, nell’esecuzione, nel conservare memoria. Le donne, con le loro interpretazioni, accentuano le peculiarità espressive dei canti, vi aggiungono significati nuovi. Li aggiornano, come nel caso di Bella ciao e ne fanno inni di nuove battaglie, senza mai dimenticare lo spirito originario che li ha generati. Quello che ha animato la lotta per la Liberazione, per una società più giusta ed egualitaria, per sconfiggere soprusi e dittature. Per affermare anche se stesse contro violenze e discriminazioni di genere.

Perché, come ricorda Renata Viganò: “La donna del popolo è combattente, quando combatte per sé e per i suoi, sia contro la povertà in pace, sia per la vita in guerra, la guerra partigiana non maledetta come quella di conquista, ma accettata e condotta per vincere i nemici di ogni tempo, oppressori in patria e aggressori stranieri” (L’Agnese va a morire).

Chiara Ferrari, autrice del libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi, Edizioni Interno 4, 2021; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli